Urla del silenzio
The Killing Fields
Durata
141
Formato
Regista
Nel marzo 1975, i Khmer Rossi occupano la capitale della Cambogia, Phnom Penh. Il dottor Dith Pran (Haing S. Ngor) è l'interprete dell'inviato del New York Times Sydney Schanberg (Sam Waterston) e, dopo aver messo in salvo la sua famiglia, decide di rimanere con il giornalista: finirà nei terribili campi di lavoro dei Khmer.
Il regista inglese Roland Joffé, qui al suo esordio alla regia di un lungometraggio, rievoca i giorni che vissero le popolazioni della Cambogia sotto la dittatura comunista del regime di Pol Pot. La storia è liberamente tratta dal best-seller del giornalista Schanberg, corrispondente da Phnom Penh in quel periodo: il risultato è un film intenso, seppur prolisso, che si avvale di una regia solida e capace di assolvere al difficile compito di consegnarci un'opera dolorosa. Anche la sceneggiatura (di Bruce Robinson) riesce a trasmettere un'idea realistica del giornalismo d'assalto e della crudeltà di un regime brutale, che ha portato alla negazione dell'uomo e della sua dignità: la violenza è rappresentata con una tecnica cinematografica che non dà enfasi, e proprio per questo la resa è ancor più impressionante. Molte scene prese a sé sono notevoli per la carica emotiva, mentre altre sono più didascaliche e non sempre dotate del giusto respiro. Bravo il cambogiano Haing S. Ngor, vincitore del premio Oscar come miglior attore non protagonista e successivamente morto durante una rappresaglia dei Khmer Rossi, che non gli avevano mai perdonato la partecipazione al film. Altre due statuette alla fotografia (Chris Menges) e al montaggio (Jim Clark).
Il regista inglese Roland Joffé, qui al suo esordio alla regia di un lungometraggio, rievoca i giorni che vissero le popolazioni della Cambogia sotto la dittatura comunista del regime di Pol Pot. La storia è liberamente tratta dal best-seller del giornalista Schanberg, corrispondente da Phnom Penh in quel periodo: il risultato è un film intenso, seppur prolisso, che si avvale di una regia solida e capace di assolvere al difficile compito di consegnarci un'opera dolorosa. Anche la sceneggiatura (di Bruce Robinson) riesce a trasmettere un'idea realistica del giornalismo d'assalto e della crudeltà di un regime brutale, che ha portato alla negazione dell'uomo e della sua dignità: la violenza è rappresentata con una tecnica cinematografica che non dà enfasi, e proprio per questo la resa è ancor più impressionante. Molte scene prese a sé sono notevoli per la carica emotiva, mentre altre sono più didascaliche e non sempre dotate del giusto respiro. Bravo il cambogiano Haing S. Ngor, vincitore del premio Oscar come miglior attore non protagonista e successivamente morto durante una rappresaglia dei Khmer Rossi, che non gli avevano mai perdonato la partecipazione al film. Altre due statuette alla fotografia (Chris Menges) e al montaggio (Jim Clark).