Un cantante e compositore (Gerulf Pannach) poco amato dai vertici alti di Berlino Est decide di rinunziare alla possibilità di risiedere nella parte occidentale della città (dove troverebbe un contratto prestigioso) e parte alla volta di Cambridge per cercare il padre (Sigfrit Steiner), accompagnato da una giornalista d'origini francesi (Fabienne Babe).

Opera anomala nella galleria di sottoproletari immortalati e glorificati da Ken Loach, è un film (ispirato a una storia vera) che prende gradualmente le distanze dalla prossemica-tipo del suo autore, e si immerge nella dimensione della Germania underground e di una Cambridge-rifugio per raccontare una storia sfuggente e poco scattante, sofferente a causa di un neoformalismo che, per fortuna, Loach ha avuto il buon senso di accantonare presto. Se resiste l'umanità dei suoi racconti migliori, soprattutto per quanto riguarda il rapporto del protagonista con il padre – autentico punto di forza del film – delude la direzione di rotta, spesso anonima e senza sangue, smarrita alla ricerca di un'identità che non si riesce a reperire. Quando poi tutto si riduce a un mero viaggio nella Storia e nelle sue derive annichilenti, ci si rende conto che forse Loach poteva incidere in modo diverso e meno retorico. Mai distribuito in Italia, gode di un piccolo alone di culto, forse, da parte di coloro che non sopportano, solitamente, il cinema del suo autore.
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