Viaggio a Kandahar
Safar e Ghandehar
Durata
85
Formato
Regista
1999. Nafas (Nelofer Pazira), giornalista afghana che vive in Canada, torna nel Paese natale occupato dai talebani, per ritrovare la sorella che vuole suicidarsi durante l'ultima eclisse del secolo. Nafas ha solo tre giorni di tempo per raggiungerla a Kandahar e intraprende un viaggio durissimo, tra la povertà dilagante e donne coperte dal burqa, costrette alla cancellazione della propria identità.
Poco prima dell'11 settembre e dell'intervento americano in Afghanistan, Mohsen Makhmalbaf ci porta tra le rovine di una nazione devastata e soffocata da un regime oscurantista, prendendo spunto da un episodio realmente accaduto a Nelofer Pazira (attrice, cineasta e giornalista afghana residente in Canada). Girato in lingua dari, filmato clandestinamente nel tormentato paese asiatico, soffre di una punta di retorica – vedi l'uso della voce narrante – e manca dell'essenzialità del miglior Makhmalbaf e del suo consueto lirismo (accennato solo nelle surreali scene delle gambe artificiali che cadono dal cielo). Al centro, c'è soprattutto l'urgenza della denuncia sociale, motivo per cui resta il film più noto e mainstream del regista persiano, non a caso premiato dalla giuria ecumenica al 54° Festival di Cannes. Hassan Tantai – noto anche come Dawud Salahuddin e David Belfield – è un afroamericano che nel 1980 assassinò un dissidente per i servizi segreti di Khomeini.
Poco prima dell'11 settembre e dell'intervento americano in Afghanistan, Mohsen Makhmalbaf ci porta tra le rovine di una nazione devastata e soffocata da un regime oscurantista, prendendo spunto da un episodio realmente accaduto a Nelofer Pazira (attrice, cineasta e giornalista afghana residente in Canada). Girato in lingua dari, filmato clandestinamente nel tormentato paese asiatico, soffre di una punta di retorica – vedi l'uso della voce narrante – e manca dell'essenzialità del miglior Makhmalbaf e del suo consueto lirismo (accennato solo nelle surreali scene delle gambe artificiali che cadono dal cielo). Al centro, c'è soprattutto l'urgenza della denuncia sociale, motivo per cui resta il film più noto e mainstream del regista persiano, non a caso premiato dalla giuria ecumenica al 54° Festival di Cannes. Hassan Tantai – noto anche come Dawud Salahuddin e David Belfield – è un afroamericano che nel 1980 assassinò un dissidente per i servizi segreti di Khomeini.