In un villaggio non specificato della Russia zarista, un gruppo di giovani intellettuali si riunisce per discutere della rivoluzione, della morte di Dio, della possibilità di incidere concretamente per cambiare la società. Mossi da propositi assoluti, si rendono responsabili di tentati attacchi terroristici e di un escalation di violenze e omicidi. Ma oltre il nichilismo e l'ateismo, la vera ragione delle loro azioni va ricercata nella direzione del ricco e cupo Stavrogin (Lambert Wilson).

Produzione francese ad alto budget per un Andrzej Wajda all'epoca impossibilitato a girare in Polonia, Dostoevskij – I demoni è il compimento di un lavoro portato avanti già a teatro dal regista sul romanzo di Fëdor Dostoevskij. L'adattamento di Jean Claude Carrière però, alle prese con uno degli autori più densi e irriducibili della letteratura mondiale (le lunghissime scene fittamente dialogate, la profondità dell'introspezione psicologica, l'analisi acuta dei moti dell'animo e dei riverberi sulla società del tempo), fallisce piuttosto nettamente: il film è azzoppato da scelte di cast rivedibili, a cominciare da uno Stavrogin (anima nera tra le più grandi e maledette dell'opera dostoevskijana) cui Lambert Wilson non dà nessuno spessore e che pare uscito da un horror di serie B. Deciso passo falso per Wajda. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
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