Katyn
Katyn
Durata
122
Formato
Regista
Andrzej (Andrzej Chyra) è un ufficiale dell'esercito polacco arresosi all'Armata Rossa subito dopo l'invasione del paese nel 1939. Raggiunto dalla moglie (Maja Ostaszewska), rifiuta di scappare per non esser considerato un disertore e viene deportato a est, mentre la donna riesce a rientrare a Cracovia, dove sopravvive durante gli anni dell'occupazione tedesca. Continuerà a cercare di avere notizie sulla sorte del marito.
Nella scena di apertura di Katyn, Andrzej Wajda inquadra due gruppi di uomini su un ponte che si fronteggiano: entrambi sono in fuga, incalzati da una parte dall'esercito tedesco, dall'altra dall'Armata Rossa. La simbologia è pure troppo scoperta: su quel ponte il regista mette la sua Polonia, dilaniata dal patto Molotov-Ribbentrop, prima spartita tra i due vicini e in seguito feroce campo di battaglia del loro confronto, giocata sul filo della memoria sepolta della foresta di Katyn, là dove furono ammassati migliaia di cadaveri di soldati polacchi, trucidati dai russi. Si parte da un documento (il diario di un ufficiale ritrovato in una fossa comune) per svelare una delle pagine di storia più efferate della Seconda guerra mondiale; l'intento è potente, la regia è raffinatissima e il film possiede una forza estetica non indifferente, anche se Wajda non riesce del tutto a distaccarsi dalla storia e calca la mano eccessivamente sul patetico in troppi momenti (come l'inseguimento del giovane reduce). Straordinaria la sequenza del massacro, momento di svelamento continuamente rinviato e infine isolato con la sua carica sconvolgente grazie a un magistrale uso del montaggio e a una perfetta cura delle inquadrature. Prolisso, ma ugualmente efficace. Straordinario successo di pubblico in patria, censurato e osteggiato in Russia, fu candidato all'Oscar come miglior film straniero.
Nella scena di apertura di Katyn, Andrzej Wajda inquadra due gruppi di uomini su un ponte che si fronteggiano: entrambi sono in fuga, incalzati da una parte dall'esercito tedesco, dall'altra dall'Armata Rossa. La simbologia è pure troppo scoperta: su quel ponte il regista mette la sua Polonia, dilaniata dal patto Molotov-Ribbentrop, prima spartita tra i due vicini e in seguito feroce campo di battaglia del loro confronto, giocata sul filo della memoria sepolta della foresta di Katyn, là dove furono ammassati migliaia di cadaveri di soldati polacchi, trucidati dai russi. Si parte da un documento (il diario di un ufficiale ritrovato in una fossa comune) per svelare una delle pagine di storia più efferate della Seconda guerra mondiale; l'intento è potente, la regia è raffinatissima e il film possiede una forza estetica non indifferente, anche se Wajda non riesce del tutto a distaccarsi dalla storia e calca la mano eccessivamente sul patetico in troppi momenti (come l'inseguimento del giovane reduce). Straordinaria la sequenza del massacro, momento di svelamento continuamente rinviato e infine isolato con la sua carica sconvolgente grazie a un magistrale uso del montaggio e a una perfetta cura delle inquadrature. Prolisso, ma ugualmente efficace. Straordinario successo di pubblico in patria, censurato e osteggiato in Russia, fu candidato all'Oscar come miglior film straniero.