Dracula: l'amore perduto
Dracula: A Love Tale
Durata
109
Formato
Regista
1480. Il principe Vlad di Valacchia (Caleb Landry Jones), valoroso condottiero, parte per combattere le orde ottomane, lasciando la sua amata moglie Elisabeta (Zoë Bleu) al sicuro. Ma un destino crudele li separa per sempre: Elisabeta viene uccisa e quando la Chiesa si rifiuta di concederle la resurrezione, Vlad, accecato dal dolore, rinnega Dio e compie un atto blasfemo, uccidendo un sacerdote sull’altare. È l’inizio della sua condanna a vagare nei secoli come vampiro.
La storia è ampiamente nota, le basi sono quelle di sempre negli adattamenti del celebre romanzo di Bram Stoker (viene in mente soprattutto il tono melodrammatico del film di Francis Ford Coppola del 1992), ma Luc Besson è riuscito comunque a dare vita a una pellicola su Dracula estremamente personale, piegata al suo stile pop e perennemente sopra le righe, kitsch e barocco. Il risultato è così una visione indubbiamente sua, nel bene e nel male. Besson si sforza anche di cambiare diversi aspetti del testo e delle altre pellicole sul tema, dall’ambientazione di Parigi ad alcuni personaggi cardine: non c’è il classico Van Helsing ma un sacerdote interpretato da Christoph Waltz; al posto del fidato servitore Renfield c’è una seducente vampira interpreta da Matilda De Angelis; c’è spazio anche per figure diverse dalla tradizione come i gargoyles, che sembrano aver abbandonato Notre-Dame in fiamme per spostarsi nel castello del Conte Dracula. Gli ingredienti diversi sono tanti, ma non sempre vanno a trovare il giusto equilibrio: ad alcune sequenze di ottimo cinema, che sembrano vicine a delle performance artistiche ben coreografate, si alternano momenti pacchiani e grossolani, degni della peggior comicità demenziale. Besson prova a volare alto ma cade in diversi frangenti, non tanto nella confezione generale, ma in passaggi estremamente posticci e raffazzonati sia in fase di sceneggiatura (la rapida decisione finale di Dracula), sia per la struttura stilistica complessiva. Poteva andare peggio, indubbiamente, ma non c’è poi così tanto per cui esultare davvero.