Il regista Derek Jarman mette in relazione passi della Bibbia e autobiografia, l'omosessualità come persecuzione e il destino riservato a Cristo, in un flusso di immagini sperimentale e sregolato.

Il primo film girato da Derek Jarman dopo aver scoperto la propria sieropositività non poteva che essere un'opera all'insegna del ripiegamento personale più totale, in cui il concetto del “proprio giardino” è esplorato in tutte le possibili declinazioni, con simbolismi che però il più delle volte sono inutilmente arditi. I frammenti autobiografici, una coppia di amanti omosessuali, il giardino Eden, l'orto dei Getsemani: tutto è frullato insieme con sprezzo del pericolo e con una repentinità d'ispirazione che, purtroppo, nella quasi totalità dei casi lascia il tempo che trova. L'I-Movie di Jarman, così come fu definito all'epoca insieme ad altre opere similmente autobiografiche e sperimentali tra cui quelle di Kenneth Anger e Maya Deren, è purtroppo uno dei momenti più fragili nel percorso dell'autore, non in grado di trarre dal dramma della malattia personale la stessa abbagliante sincerità e valenza testamentaria che avrà invece il successivo Blue (1993).
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