Una lirica e arrabbiata digressione firmata Derek Jarman nei costumi corrotti e ipocriti dell'Inghilterra degli anni '80. Il titolo del film proviene dalla denominazione omonima di un dipinto dell'artista preraffaellita Ford Madox Brown.

Riallacciandosi a Jubilee (1978), Derek Jarman torna a parlare del dissolversi implacabile e inarrestabile dell'integrità culturale nell'Inghilterra del proprio tempo, con piglio diverso, meno giovanilistico e più politico, ma con molta meno forza e una dose maggiore e più arzigogolata di vaga e fumosa indeterminatezza. Il j'accuse di Jarman è netto e inequivocabile, ha dalla sua tutta la sconfinata cassetta degli attrezzi del pamphlet sperimentale per immagini, ma non riesce a districarsi in modo fulgido e lineare dalla non indifferente quantità di materiale utilizzato e montato, spesso a partire da immagini di repertorio o da filmati molto diversificati e poco attinenti gli uni agli altri. L'avversione al thatcherismo e la politicizzazione manifesta che l'autore fa delle proprie immagini, ricorrendo addirittura a Ėjzenštejn, non è pienamente nelle sue corde ma conserva l'importante valore documentale di una preziosa testimonianza storico-artistica, realizzata per altro da una mente sinceramente anticonformista che si dedica senza esitazioni e con coraggio alla mappatura del proprio tempo. Titolo calzante e azzeccatissimo.
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