
Io e mia sorella
Durata
110
Formato
Regista
Oboista in un'orchestra classica, Carlo (Carlo Verdone) vive a Spoleto con la moglie Serena (Elena Sofia Ricci), violoncellista bisbetica. La morte della madre porta Silvia (Ornella Muti), sorella che vede e sente sporadicamente, a tornare a casa e riallacciare i rapporti con la famiglia. Emergerà un passato problematico con più di una ripercussione sul presente.
Pensato come un prodotto commerciale per unire due campioni del box office come Carlo Verdone e Ornella Muti, all'apice della popolarità, Io e mia sorella è uno dei film più amari del regista romano, discontinuo nel cercare una sintesi tra la sua anima più drammatica e quella prettamente comica. Ispirato solo in parte, benché i personaggi di Carlo e della sorella Silvia siano tra i più sfaccettati della filmografia verdoniana. Il regista conferma la sua sensibilità nel riuscire a ottenere il meglio da Elena Sofia Ricci e, soprattutto, dalla Muti, impegnata in una delle sue prove migliori accanto a un malinconico perdente, grottesco eppure tenero. Peccato quindi per alcune lungaggini e una gestione non sempre all'altezza delle componenti melodrammatiche e di quelle meno seriose (finendo per scadere, come nell'episodio dell'infermiera ungherese, nella trivialità crassa e scontata). L'anello di congiunzione tra i titoli farseschi del primo periodo e quelli più malinconici della maturità.
Pensato come un prodotto commerciale per unire due campioni del box office come Carlo Verdone e Ornella Muti, all'apice della popolarità, Io e mia sorella è uno dei film più amari del regista romano, discontinuo nel cercare una sintesi tra la sua anima più drammatica e quella prettamente comica. Ispirato solo in parte, benché i personaggi di Carlo e della sorella Silvia siano tra i più sfaccettati della filmografia verdoniana. Il regista conferma la sua sensibilità nel riuscire a ottenere il meglio da Elena Sofia Ricci e, soprattutto, dalla Muti, impegnata in una delle sue prove migliori accanto a un malinconico perdente, grottesco eppure tenero. Peccato quindi per alcune lungaggini e una gestione non sempre all'altezza delle componenti melodrammatiche e di quelle meno seriose (finendo per scadere, come nell'episodio dell'infermiera ungherese, nella trivialità crassa e scontata). L'anello di congiunzione tra i titoli farseschi del primo periodo e quelli più malinconici della maturità.