Maurizio Nichetti presenta in televisione il suo lavoro Ladri di saponette con il critico Claudio G. Fava, ispirato al capolavoro Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica. L'autore milanese non apprezza le continue interruzioni pubblicitarie effettuate nel corso della proiezione. Dopo un blackout nello studio televisivo, però, i personaggi dell'opera cinematografica si fondono con quelli della réclame.

Nichetti getta uno sguardo acuto sul rapporto tra televisione e il cinema, soffermandosi in particolare sulle interruzioni dei film a causa degli spot pubblicitari (cosa che, all'epoca, riguardava soprattutto le reti private). La pubblicità diventa parte del lungometraggio stesso, con un'intelligente e originale fusione tra l'approccio sognante del regista al proprio lavoro e quello sacrilego della televisione. Le tre linee narrative (spot, film e presentazione televisiva) sono rese ben distinguibili dalla fotografia, che varia dal bianco e nero per il lungometraggio, ai colori accesi e brillanti della pubblicità, per passare a quelli più tenui (e anonimi) della (grigia) realtà. L'autore riesce ad appropriarsi delle regole del neorealismo e declinarle secondo la propria visione fanciullesca, pur rimanendo credibile. Una piccola gemma di intelligenza e originalità. Il cast è naturale e ben calato nella parte, con un Nichetti nella doppia veste di se stesso e di Antonio, nella finzione metacinematografica.
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