Leningrad Cowboys Meet Moses
Leningrad Cowboys Meet Moses
Durata
94
Formato
Regista
Dopo cinque anni di avventure deliranti e guai con la legge messicana, i Leningrad Cowboys sono allo sbando. All'improvviso ritorna Vladimir (Matti Pellonpää), il loro ex agente, che ora si fa chiamare Moses e che è deciso a riportare il gruppo a casa, non senza aver prima portato con sé un piccolo ricordo dell'America.
Seguito di Leningrad Cowboys Go America (1989), che portò alla ribalta l'omonimo gruppo rock finlandese, la pellicola ripropone, all'inverso, il viaggio della band (dall'America alla Finlandia) utilizzando come chiave parodica principale il libro dell'Esodo della Bibbia, con Vladimir nei panni di Mosè che riconduce il suo popolo (i Leningrad Cowboys) alla terra promessa. Oltre la struttura narrativa principale, il film conserva tutte le peculiarità del capitolo precedente, cercando di riproporne lo spirito surreal-ironico e la comicità scanzonata, il tutto attraverso la forma tipica del regista finnico (i quadri apparentemente fissi, la recitazione apparentemente immobile, le lunghe inquadrature, l'utilizzo dei cartelli). Ma, contrariamente al primo episodio, dove v'era ancora un certo equilibrio tra reale e surreale tale da valorizzare un certo infantilismo delle gag, in Leningrad Cowboys Meet Moses il fantastico prende il sopravvento e la narrazione stessa si inceppa in una sequela di situazioni assurde ove l'esigenza narrativa viene sacrificata al susseguirsi di trovate spesso povere e stiracchiate. La stessa ricerca di redenzione e riscatto, tema tipico della filmografia di Kaurismäki, appare qui debole e pretestuosa.
Seguito di Leningrad Cowboys Go America (1989), che portò alla ribalta l'omonimo gruppo rock finlandese, la pellicola ripropone, all'inverso, il viaggio della band (dall'America alla Finlandia) utilizzando come chiave parodica principale il libro dell'Esodo della Bibbia, con Vladimir nei panni di Mosè che riconduce il suo popolo (i Leningrad Cowboys) alla terra promessa. Oltre la struttura narrativa principale, il film conserva tutte le peculiarità del capitolo precedente, cercando di riproporne lo spirito surreal-ironico e la comicità scanzonata, il tutto attraverso la forma tipica del regista finnico (i quadri apparentemente fissi, la recitazione apparentemente immobile, le lunghe inquadrature, l'utilizzo dei cartelli). Ma, contrariamente al primo episodio, dove v'era ancora un certo equilibrio tra reale e surreale tale da valorizzare un certo infantilismo delle gag, in Leningrad Cowboys Meet Moses il fantastico prende il sopravvento e la narrazione stessa si inceppa in una sequela di situazioni assurde ove l'esigenza narrativa viene sacrificata al susseguirsi di trovate spesso povere e stiracchiate. La stessa ricerca di redenzione e riscatto, tema tipico della filmografia di Kaurismäki, appare qui debole e pretestuosa.