La fiammiferaia
Tulitikkutehtaan tyttö
Durata
68
Formato
Regista
La giovane Iris (Kati Outinen) lavora in una fabbrica di fiammiferi per mantenere la madre (Elina Salo) e il patrigno (Esko Nikkari), da cui subisce angherie e umiliazioni. Quando finalmente pensa di aver trovato l'amore, pesantemente respinta e costretta ad abortire, medita vendetta.
Costruito come una spirale, dove la fine, pur simile all'inizio, ne è una evoluzione, La fiammiferaia (capitolo finale della cosiddetta “trilogia dei perdenti” dopo Ombre dal paradiso del 1986 e Ariel del 1988) descrive con la velocità di una stilettata e con il rigore narrativo di una pura cronaca, il punto di non ritorno di un “perdente” che, giunto all'apice dell'indifferenza, dell'umiliazione fine a se stessa e dell'incomprensione, reagisce con forza eguale e contraria, sotto il segno della freddezza e della spietatezza. Come nella maggior parte dei film di Kaurismäki, la narrazione procede azione dopo azione, svuotata di tutta la sovrastruttura intellettuale, sociale e psicologica, riducendo all'osso tutta l'impalcatura narrativa e facendo emergere, tramite gli sguardi lunghi, fissi e impietosi della macchina da presa, l'essenza del personaggio e la sua inarrestabile evoluzione tragica. La ruvidità narrativa, nel contesto superficialmente immobile che caratterizza gli ambienti e i personaggi stessi, conferisce al film la spietata purezza dell'essenza dell'agire e del pensare. Ne risulta una semplicità atroce e straniante, ove l'elemento tipicamente surrealista si incarna nella narrazione stessa, dando vita a una irreale realtà che mette a nudo le caratteristiche umane più strane ma insieme più vere e, in fin dei conti, più assurde.
Costruito come una spirale, dove la fine, pur simile all'inizio, ne è una evoluzione, La fiammiferaia (capitolo finale della cosiddetta “trilogia dei perdenti” dopo Ombre dal paradiso del 1986 e Ariel del 1988) descrive con la velocità di una stilettata e con il rigore narrativo di una pura cronaca, il punto di non ritorno di un “perdente” che, giunto all'apice dell'indifferenza, dell'umiliazione fine a se stessa e dell'incomprensione, reagisce con forza eguale e contraria, sotto il segno della freddezza e della spietatezza. Come nella maggior parte dei film di Kaurismäki, la narrazione procede azione dopo azione, svuotata di tutta la sovrastruttura intellettuale, sociale e psicologica, riducendo all'osso tutta l'impalcatura narrativa e facendo emergere, tramite gli sguardi lunghi, fissi e impietosi della macchina da presa, l'essenza del personaggio e la sua inarrestabile evoluzione tragica. La ruvidità narrativa, nel contesto superficialmente immobile che caratterizza gli ambienti e i personaggi stessi, conferisce al film la spietata purezza dell'essenza dell'agire e del pensare. Ne risulta una semplicità atroce e straniante, ove l'elemento tipicamente surrealista si incarna nella narrazione stessa, dando vita a una irreale realtà che mette a nudo le caratteristiche umane più strane ma insieme più vere e, in fin dei conti, più assurde.