
Leningrad Cowboys go America
Leningrad cowboys go America
Durata
78
Formato
Regista
Una banda folkloristica finlandese, i Leningrad Cowboys, intraprende un viaggio prima in America e poi in Messico in cerca di successo. Accompagnato dall'infido manager Vladimir (Matti Pellonpää), dallo scemo del villaggio Igor (Kari Väänänen) e dalla bara di un loro compagno deceduto prima del viaggio, lo strampalato gruppo aggiornerà via via il suo repertorio musicale, tra peripezie e surreali disavventure.
Girato quasi un decennio dopo The Blues Brothers (1980), il film sembra esserne un divertito omaggio – i vestiti, la macchina, le esibizioni musicali, alcune gag – proponendo una serie di brevi, a volte brevissimi, sketch istantanei, a volte perfino avulsi da qualsiasi esigenza di trama, a metà tra le gag di Buster Keaton e alcuni surrealismi tipici dei Monthy Python. Spesso introdotte da cartelli/capitoli interlocutori con gli spettatori, le trovate spiritose si dipanano per sottrazione recitativa in inquadrature spesso immobili, ove la situazione comica è data dalla combinazione di un gesto meccanico, una ripetizione, un'unica punch line alla fine di una (o nessuna) azione, incorniciata dal surrealismo fiabesco tipico del regista. Se l'atmosfera è a tratti incantevole, la comicità a volte risulta fin troppo puerile, in cui il gusto per il dettaglio si perde in parentesi di poco interesse. Belli i pezzi musicali interpretati dai Leningad Cowboys, una vera band che grazie a questo film e ai successivi girati assieme a Kaurismäki – il sequel Leningrad Cowboys meet Moses (1993) e il il concerto Total Balalaika Show (1994) – arriveranno al successo internazionale, grazie anche alla collaborazione con il coro dell'Armata Rossa. Fugace apparizione di Jim Jarmusch nei panni di un venditore di auto usate.
Girato quasi un decennio dopo The Blues Brothers (1980), il film sembra esserne un divertito omaggio – i vestiti, la macchina, le esibizioni musicali, alcune gag – proponendo una serie di brevi, a volte brevissimi, sketch istantanei, a volte perfino avulsi da qualsiasi esigenza di trama, a metà tra le gag di Buster Keaton e alcuni surrealismi tipici dei Monthy Python. Spesso introdotte da cartelli/capitoli interlocutori con gli spettatori, le trovate spiritose si dipanano per sottrazione recitativa in inquadrature spesso immobili, ove la situazione comica è data dalla combinazione di un gesto meccanico, una ripetizione, un'unica punch line alla fine di una (o nessuna) azione, incorniciata dal surrealismo fiabesco tipico del regista. Se l'atmosfera è a tratti incantevole, la comicità a volte risulta fin troppo puerile, in cui il gusto per il dettaglio si perde in parentesi di poco interesse. Belli i pezzi musicali interpretati dai Leningad Cowboys, una vera band che grazie a questo film e ai successivi girati assieme a Kaurismäki – il sequel Leningrad Cowboys meet Moses (1993) e il il concerto Total Balalaika Show (1994) – arriveranno al successo internazionale, grazie anche alla collaborazione con il coro dell'Armata Rossa. Fugace apparizione di Jim Jarmusch nei panni di un venditore di auto usate.