Tardo Medioevo. Agostino (Andrea Sartoretti) vive in povertà con la moglie Nina (Claudia Potenza) e il figlio Giovanni (Zac Zanghellini) nei pressi di un villaggio pedemontano. Una montagna si erge immensa, come un muro, bloccando i raggi del sole, cosicché il campo della famiglia è ridotto a un terreno sterile, tutto pietre e sterpaglie. Nonostante molti gli consiglino di andarsene altrove in cerca di una vita migliore Agostino, fermamente convinto che le radici di un uomo non possano tradirlo, insiste che il proprio destino è di rimanere lì tra quei monti. Invano lotta per alleviare le condizioni della famiglia ridotta alla fame: la loro vita non migliora e Agostino decide allora di sfidare l’immensità e la potenza dell’antica montagna.

A due anni di distanza da Mise en scène with Arthur Penn (2014), Amir Naderi torna al Festival di Venezia con un film di fiction girato tra le aride montagne del Friuli e ambientato in un plumbeo tardomedioevo dall’oscurità tutt’altro che figurata o metaforica. Se la storia di Agostino, testardo capofamiglia che sfida le montagne pur di rimanere ancorato alla terra dei suoi avi, appare una scelta curiosa e perfino paradossale per un cineasta errante e apolide come Naderi che ha edificato il suo cinema tra Iran, Stati uniti, Giappone e Italia, il tema principale del film (l’ostinazione che sfocia nell’ossessione) è lo stesso che si ritrova in tutti i suoi lavori precedenti. Portata qui al parossismo, la sfida di Agostino contro la montagna non sembra tanto simboleggiare l’eterno conflitto uomo-natura quanto più verosimilmente quello tra l’uomo e i propri limiti, una sfida impossibile e titanica che Naderi immortala dividendo il film in due parti distinte (la prima più narrativa, la seconda più dilatata e allegorica) e facendo slittare il racconto da un contesto storico definito a una dimensione mitico-leggendaria. L'osmosi tra i due segmenti è interessante e fruttifera ma dà luogo, contemporaneamente, a un film senza baricentro ed equilibro, vittima in parte del proprio scentrato titanismo. Quasi un controcampo del precedente Cut (2011) — lì il protagonista incassava i colpi sul proprio corpo, qui li assesta contro una montagna — Monte ne amplifica la potenza rabbiosa, la ruvidezza delle immagini, la violenza del montaggio, lasciando ampio spazio a un tappeto sonoro martellante e a tratti insostenibile. Percorso da una violenta energia primordiale ma gravato da una lavorazione travagliata e più volte interrotta (il regista, a quanto pare, ha montato la sua opera oltre sessanta volte), il film racconta una doppia sfida che finisce per fondersi in maniera quasi herzoghiana: quella di Agostino nei confronti della montagna e, sullo sfondo, quella di Naderi contro la macchina-cinema sclerotica e tradizionale. Presentato Fuori Concorso, anche in virtù di una precisa scelta del regista, alla Mostra di Venezia 2016.
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