Anni '30, durante il fascismo il professor Bonaccorsi (Marcello Mastroianni) lavora in un manicomio dove cerca l'impresa scientifica: isolare il gene della follia. Si circonda di diverse amanti, ma a sconvolgere le sue convinzioni è l'arrivo della giovane Anna Bersani (Françoise Fabian), praticante che metterà in crisi le certezze non solo mediche di Bonaccorsi.

Tre anni prima della Legge Basaglia, a seguito della quale vengono definitivamente chiusi i cosiddetti manicomi, Mauro Bolognini ambienta in queste strutture coercitive e spesso discutibili il suo film tratto dal romanzo omonimo di Mario Tobino. Come in quasi tutti i lungometraggi degli anni settanta girati dall'autore toscano, si ritrova un'elegante e perfetta confezione (notevoli le musiche di Morricone), inappuntabile da molti punti di vista, messa a frutto esemplare di un cinema diligente, dal valore volutamente paradigmatico, che ricerca nella cornice la sostanza più intima. Tutto ciò non basta però a oltrepassare la soglia dell'ottimale e a raggiungere delle vette se possibile ancor più elevate, tanto che il tema della follia viene restituito con meno forza del previsto. Densi e ragguardevoli, comunque, i rimandi e le riflessioni psicologiche e storiche, i riferimenti alla dittatura dell'epoca e la solidità narrativa, predominanti in quello che potrebbe essere bollato a torto come un mero dramma patinato e calligrafico.
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