
Uno per tutti
Durata
85
Formato
Regista
Gli amici di infanzia Gil (Fabrizio Ferracane), Vinz (Giorgio Panariello) e Saro (Thomas Trabacchi) si ritrovano a Trieste, dove sono cresciuti, a distanza di anni. Il figlio di Gil, il diciottenne Teo (Lorenzo Baroni), si è messo nei guai e i tre si riuniscono per risolvere la situazione.
Tratto dall’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri, Uno per tutti ha l’ambizione di inserirsi nel nuovo solco delle sfumature noir molto presenti nel cinema italiano contemporaneo (si pensi ad Anime nere di Francesco Munzi, 2014), con riferimenti anche al modello americano (inarrivabile) à la Mystic River (Clint Eastwood, 2003). Gli intenti lodevoli non trovano però corrispondenza in una narrazione lacunosa, sceneggiata male, che si poggia su un cast abile ma sprecato in questo contesto: se, a sorpresa, convince la prova drammatica di Panariello, alias il burbero Vinz, Isabella Ferrari nel ruolo della madre di Teo risulta forzata, mentre bravi sono Ferracane e Trabacchi. Non bastano però a risollevare le sorti della pellicola, affaticata ulteriormente da una regia pigra e da dialoghi telefonati, talvolta al limite del ridicolo. Si fa apprezzare il tentativo di dire qualcosa di nuovo, ma c’è ancora troppo da sistemare per ambire alla sufficienza.
Tratto dall’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri, Uno per tutti ha l’ambizione di inserirsi nel nuovo solco delle sfumature noir molto presenti nel cinema italiano contemporaneo (si pensi ad Anime nere di Francesco Munzi, 2014), con riferimenti anche al modello americano (inarrivabile) à la Mystic River (Clint Eastwood, 2003). Gli intenti lodevoli non trovano però corrispondenza in una narrazione lacunosa, sceneggiata male, che si poggia su un cast abile ma sprecato in questo contesto: se, a sorpresa, convince la prova drammatica di Panariello, alias il burbero Vinz, Isabella Ferrari nel ruolo della madre di Teo risulta forzata, mentre bravi sono Ferracane e Trabacchi. Non bastano però a risollevare le sorti della pellicola, affaticata ulteriormente da una regia pigra e da dialoghi telefonati, talvolta al limite del ridicolo. Si fa apprezzare il tentativo di dire qualcosa di nuovo, ma c’è ancora troppo da sistemare per ambire alla sufficienza.