Posti in piedi in paradiso
Durata
119
Formato
Regista
Tre disperati si ritrovano a condividere lo stesso tetto. Ulisse (Carlo Verdone) è un ex discografico di successo che arrotonda le scarse entrate del suo negozio di vinili vendendo pezzi pregiati su e-bay; Fulvio (Pierfrancesco Favino) è un ex critico cinematografico retrocesso a scrivere di gossip e ha un divorzio alle spalle; Domenico (Marco Giallini) è un agente immobiliare che per mantenere due famiglie si presta a fare il gigolò con anziane signore. Le loro vite saranno ulteriormente complicate dall'arrivo di Gloria (Micaela Ramazzotti), cardiologa impacciata e ansiosa che si innamora di Ulisse.
Carlo Verdone continua a raccontare la precarietà dell'Italia contemporanea dando vita a un'opera corale e dolceamara, incentrata su figure umane fragili e smarrite. Ma la narrazione non si evolve mai oltre il bozzetto, i riferimenti alle problematicità del presente sono fiacchi e trattati con sufficienza mentre gli elementi di commedia e dramma appaiono male amalgamati. E ancora una volta, come nel precedente Io, loro e Lara (2010), il finale tradisce le premesse iniziali, stempera qualsiasi spunto satirico o vagamente corrosivo, forzando un ottimismo e una positività che appaiono tanto stonati quanto posticci. La dissoluzione del nucleo famigliare tradizionale, l'incertezza verso il futuro, la necessaria presa di coscienza dei propri fallimenti e la conseguente spinta a ripartire: questi sono alcuni dei temi centrali della nuova poetica verdoniana più attenta alle difficoltà del quotidiano. Ma attorno agli assunti teorici il regista non riesce a costruire un prodotto cinematograficamente compiuto capace di unire divertimento e spunti riflessivi degni di nota. Poche le trovate veramente convincenti in un prodotto scentrato, troppo discontinuo e sostanzialmente irrisolto. Cast inadeguto, con Pierfrancesco Favino smarrito come un pesce fuor d'acqua.
Carlo Verdone continua a raccontare la precarietà dell'Italia contemporanea dando vita a un'opera corale e dolceamara, incentrata su figure umane fragili e smarrite. Ma la narrazione non si evolve mai oltre il bozzetto, i riferimenti alle problematicità del presente sono fiacchi e trattati con sufficienza mentre gli elementi di commedia e dramma appaiono male amalgamati. E ancora una volta, come nel precedente Io, loro e Lara (2010), il finale tradisce le premesse iniziali, stempera qualsiasi spunto satirico o vagamente corrosivo, forzando un ottimismo e una positività che appaiono tanto stonati quanto posticci. La dissoluzione del nucleo famigliare tradizionale, l'incertezza verso il futuro, la necessaria presa di coscienza dei propri fallimenti e la conseguente spinta a ripartire: questi sono alcuni dei temi centrali della nuova poetica verdoniana più attenta alle difficoltà del quotidiano. Ma attorno agli assunti teorici il regista non riesce a costruire un prodotto cinematograficamente compiuto capace di unire divertimento e spunti riflessivi degni di nota. Poche le trovate veramente convincenti in un prodotto scentrato, troppo discontinuo e sostanzialmente irrisolto. Cast inadeguto, con Pierfrancesco Favino smarrito come un pesce fuor d'acqua.