Privilege
Privilege
Durata
103
Formato
Regista
Steven Shorter (Paul Jones) è una pop-star inglese portata al successo dalla coalizione di destra del governo al solo scopo di controllare la protesta giovanile. Vanessa (Jean Shrimpton), una pittrice innamoratasi di lui, cerca di convincerlo a ribellarsi e abbandonare la maschera che indossa.
Un film riuscito a metà che però racchiude tutte le caratteristiche stilistiche del cinema di Peter Watkins. Il regista britannico, infatti, si è da sempre dimostrato attento alla tematica sociale, soprattutto indagando le meschine mosse politiche pronte a insinuarsi in qualsiasi canale comunicativo pur di mantenere il controllo sulla popolazione. Questo è proprio il tema portante della pellicola che, soprattutto nelle grandi scene di massa (gli show di Steven), convince sia per lo stile brioso e coinvolgente, sia per la sottile satira rivolta agli spettatori omologati e passivi. Watkins ha provato a mettere in guardia il pubblico su una possibile involuzione sociale, che ai giorni nostri sembra banale e scontata. Però il film zoppica e arranca notevolmente con il passare dei minuti, presentando personaggi e situazioni sempre meno credibili e più superficiali (come la figura di Vanessa) e provando a scuotere lo spettatore con una morale piuttosto facile e meno curata della satira iniziale. Interessante la scelta di optare per Jean Shrimpton (icona della moda di quegli anni) come attrice per accentuare ulteriormente la critica contro i falsi miti e la loro manipolazione politica, ma ciò non basta a lasciare completamente il segno.
Un film riuscito a metà che però racchiude tutte le caratteristiche stilistiche del cinema di Peter Watkins. Il regista britannico, infatti, si è da sempre dimostrato attento alla tematica sociale, soprattutto indagando le meschine mosse politiche pronte a insinuarsi in qualsiasi canale comunicativo pur di mantenere il controllo sulla popolazione. Questo è proprio il tema portante della pellicola che, soprattutto nelle grandi scene di massa (gli show di Steven), convince sia per lo stile brioso e coinvolgente, sia per la sottile satira rivolta agli spettatori omologati e passivi. Watkins ha provato a mettere in guardia il pubblico su una possibile involuzione sociale, che ai giorni nostri sembra banale e scontata. Però il film zoppica e arranca notevolmente con il passare dei minuti, presentando personaggi e situazioni sempre meno credibili e più superficiali (come la figura di Vanessa) e provando a scuotere lo spettatore con una morale piuttosto facile e meno curata della satira iniziale. Interessante la scelta di optare per Jean Shrimpton (icona della moda di quegli anni) come attrice per accentuare ulteriormente la critica contro i falsi miti e la loro manipolazione politica, ma ciò non basta a lasciare completamente il segno.