In un futuro distopico non troppo lontano, dove il governo è stato soppiantato da una mega azienda chiamata Mancom, che controlla gli individui con telecamere e bombardamenti di spot pubblicitari e propagandistici, l'eccentrico programmatore Qohen Leth (Christoph Waltz) vive da solo, alienato dal resto del mondo, in compagnia del suo computer. La sua vita cambierà quando il boss della Mancom (Matt Damon) gli affiderà un nuovo, misterioso, lavoro: risolvere il cosiddetto Teorema Zero, un algoritmo che dovrebbe spiegare il (non) senso della vita.



Ormai ultrasettantenne, Terry Gilliam omaggia se stesso con un piccolo "Brazil 2.0" (il riferimento è al suo omonimo cult del 1985), aggiornato ai tempi dei social network e delle perpetua interconnessione tra individui. Il budget ridotto, l'ambientazione quasi completamente all'interno della casa del protagonista e una sceneggiatura (firmata Pat Rushin) che, dopo un inizio promettente, perde smalto e si rivela piuttosto farraginosa e non sempre coinvolgente rischiano di far cadere quest’opera nell’anonimato e nel visto e stravisto. Tuttavia non è possibile non riconoscere a Gilliam un talento visivo ancora originale, seppur pleonastico, nel saper tratteggiare una sofferta, grottesca e beffarda epifania sull'umanità di oggi, segregatasi in case sempre più simili a prigioni e incatenatasi di fronte a uno schermo. Christoph Waltz, anche produttore, si impegna a fondo. Le parti in esterno (decisamente suggestive) sono state girate a Bucarest.
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