Pansy (Marianne Jean-Baptiste), una casalinga schiacciata dalle sue paure e in conflitto costante con il marito e il figlio, si rinchiude sempre più in sé stessa. Sarà il confronto con la sorella Chantelle (Michele Austin), più solare e indipendente, a riaprire vecchie ferite, ma anche a offrirle una possibilità di rinascita. 

A ottantuno anni, e a sei di distanza dal suo precedente lungometraggio, Mike Leigh firma un film che, già a partire dal titolo e dalla presenza di Marianne Jean-Baptiste, sembra presentarsi come controcanto del suo capolavoro del 1996, Segreti e bugie. Dopo due film d’ambientazione storica (Peterloo del 2018 e Turner del 2014), il grande regista britannico torna a puntare il suo sempre lucido sguardo sulla contemporaneità, seguendo le vicende di una famiglia afflitta da incomunicabilità, lutti mai veramente elaborati e traumi e rancori trascinati da tutta una vita. L’approfondimento psicologico e il climax emotivo sono come al solito di ottimo livello ed è straordinaria l’abilità del regista e sceneggiatore di delineare una protagonista così scontrosa e antipatica, e allo stesso tempo così capace di attivare l’empatia del pubblico, il quale può solo immaginare i motivi di una personalità tanto scostante e a tratti assolutamente repellente. Nonostante le tante parole pronunciate, infatti, si ha sempre l’impressione che ciò che è veramente importante resti inespresso, soffocato dalle paure nevrotiche di Pansy e dall’incomprensione che queste generano negli altri personaggi che, spesso, per contrastare la sua rabbia si serrano in un mutismo dolente. Meravigliosa interpretazione di Marianne Jean-Baptiste, che sa quando controllarsi e quando andare sopra le righe senza mai scadere nel grottesco: impresa non facile, viste le fragilità al limite del maniacale del suo personaggio, che poteva prestarsi facilmente, in mani meno talentuose, a diventare la parodia di sé stessa. Ma ad essere di alto livello è tutto il cast, a riconferma del grande amore di Leigh per i suoi attori, che sa guidare impeccabilmente. Tragicommedia che diverte tanto quanto commuove, lasciando anzi spesso l’amaro in bocca quando una situazione fa scaturire una risata, ma il contesto disvela poi tutto il dolore sotterraneo. Non un film che vuole dare risposte o soluzioni chiare: anche la speranza di un miglioramento resta fuori scena, ipotizzata da un finale di grande tensione emotiva che suggerisce una dolorosa presa di coscienza e una possibile svolta. Presentato al Festival di San Sebastián.

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