Un silenzio particolare
Durata
75
Formato
Regista
In provincia di Perugia sorge la Città del Sole, agriturismo nato per offrire a disabili e neurodivergenti la possibilità di fare vacanze ricche di attività ludiche e formative in contatto con la natura e gli altri, al fine di favorire lo sviluppo delle abilità, l'autonomia e la conoscenza di sé stessi. Creatore anche della Fondazione con lo stesso nome, insieme alla moglie Clara Sereni, è lo sceneggiatore Stefano Rulli, che in questo film mette anche a nudo il suo rapporto col figlio Matteo e le lotte quotidiane con il suo spettro autistico.
A quasi trent'anni di distanza dal fondamentale documentario Matti da slegare -in cui, con Bellocchio, Agosti e Petraglia, Rulli entrava nei manicomi per mostrare l'umanità dei pazienti e la necessità della legge Basaglia - e a un anno dal film da lui sceneggiato La meglio gioventù (in cui il personaggio complesso e sensibilissimo di Matteo, sorta di ponte invisibile tra la normalità e la follia al centro del film, fungeva forse anche da trasmutazione poetica del proprio figlio con lo stesso nome), il regista/sceneggiatore decide di mostrare la malattia all'interno del proprio stesso nucleo familiare, omaggiando la fragilità del figlio con sobrietà e coraggio. Girato con un digitale 4:3 da Ugo Adinolfi, spezzato dai filmini familiari in super8 con il piccolo Matteo, il film ci fa conoscere alcuni ragazzi ospiti della Città per poi concentrarsi sul rapporto dello stesso coi genitori. Un evidente limite sta nella relativa brevità della pellicola, che fa restare con la voglia di saperne di più sulla Città del Sole, apparendo in definitiva esile nonostante la ricchezza degli spunti. Ma la sincerità senza enfasi con cui il regista mostra l'incontro/scontro col figlio ne fanno un'opera di riferimento per raccontare la diversità, oltre che un valido corollario di Matti da slegare per come trascolora l'intimo nel collettivo, universalizzandolo.
A quasi trent'anni di distanza dal fondamentale documentario Matti da slegare -in cui, con Bellocchio, Agosti e Petraglia, Rulli entrava nei manicomi per mostrare l'umanità dei pazienti e la necessità della legge Basaglia - e a un anno dal film da lui sceneggiato La meglio gioventù (in cui il personaggio complesso e sensibilissimo di Matteo, sorta di ponte invisibile tra la normalità e la follia al centro del film, fungeva forse anche da trasmutazione poetica del proprio figlio con lo stesso nome), il regista/sceneggiatore decide di mostrare la malattia all'interno del proprio stesso nucleo familiare, omaggiando la fragilità del figlio con sobrietà e coraggio. Girato con un digitale 4:3 da Ugo Adinolfi, spezzato dai filmini familiari in super8 con il piccolo Matteo, il film ci fa conoscere alcuni ragazzi ospiti della Città per poi concentrarsi sul rapporto dello stesso coi genitori. Un evidente limite sta nella relativa brevità della pellicola, che fa restare con la voglia di saperne di più sulla Città del Sole, apparendo in definitiva esile nonostante la ricchezza degli spunti. Ma la sincerità senza enfasi con cui il regista mostra l'incontro/scontro col figlio ne fanno un'opera di riferimento per raccontare la diversità, oltre che un valido corollario di Matti da slegare per come trascolora l'intimo nel collettivo, universalizzandolo.