Miracolo a Milano
Premi Principali
Grand Prix al Festival di Cannes 1951
Durata
100
Formato
Regista
Trovato sotto un cavolo e allevato amorevolmente dalla signora Lolotta (Emma Gramatica), il candido Totò (Gianni Branduani da piccolo, Francesco Golisano da adulto) finisce in orfanotrofio alla morte della madre putativa. Uscitone anni dopo, prende possesso con altri diseredati di un terreno in periferia, che si rivela ricco di petrolio: l'acquisita serenità sarà messa in pericolo dalla bramosia di alcuni ricconi.
«...Verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno!» Adattamento del romanzo Totò il buono, scritto da Cesare Zavattini (anche sceneggiatore con Suso Cecchi D'Amico, Mario Chiari, Adolfo Franci e Vittorio De Sica) e volo pindarico di un regista che sceglie coscientemente di allontanarsi dalla corrente neorealista, motore primario di ispirazione per il capolavoro Ladri di biciclette (1948). Tra miserie e fantasia, il film è caratterizzato da una struttura fiabesca (i dialoghi surreali e naïf, la congrega di personaggi che agisce a livello elementare), contaminando sociologia (le privazioni dei barboni, costretti a difendersi dalle mire capitalistiche di coloro che sostengono la proprietà privata) e un'idea di cinema nel suo senso più lineare (la consequenzialità degli eventi, l'assenza totale di qualunque sottotesto violentemente polemico). De Sica punta all'emozione primaria e riesce ad affascinare attraverso una purezza di sentimenti quasi archetipica, che rende accettabili gli inserti puramente irreali; e la mancata politicizzazione dei personaggi giustifica la scelta di un finale utopico. Qualche ingenuità di troppo nello sviluppo, ma la coerenza autoriale, eticamente ineccepibile, colpisce spesso nel segno. Divertente la ridicolizzazione della classe borghese, impegnata in innocui giochi di forza che ne fanno emergere la fondamentale inadeguatezza. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove vinse la Palma d'oro insieme a La notte del piacere (1951) di Alf Sjöberg. Musiche di Alessandro Cicognini.
«...Verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno!» Adattamento del romanzo Totò il buono, scritto da Cesare Zavattini (anche sceneggiatore con Suso Cecchi D'Amico, Mario Chiari, Adolfo Franci e Vittorio De Sica) e volo pindarico di un regista che sceglie coscientemente di allontanarsi dalla corrente neorealista, motore primario di ispirazione per il capolavoro Ladri di biciclette (1948). Tra miserie e fantasia, il film è caratterizzato da una struttura fiabesca (i dialoghi surreali e naïf, la congrega di personaggi che agisce a livello elementare), contaminando sociologia (le privazioni dei barboni, costretti a difendersi dalle mire capitalistiche di coloro che sostengono la proprietà privata) e un'idea di cinema nel suo senso più lineare (la consequenzialità degli eventi, l'assenza totale di qualunque sottotesto violentemente polemico). De Sica punta all'emozione primaria e riesce ad affascinare attraverso una purezza di sentimenti quasi archetipica, che rende accettabili gli inserti puramente irreali; e la mancata politicizzazione dei personaggi giustifica la scelta di un finale utopico. Qualche ingenuità di troppo nello sviluppo, ma la coerenza autoriale, eticamente ineccepibile, colpisce spesso nel segno. Divertente la ridicolizzazione della classe borghese, impegnata in innocui giochi di forza che ne fanno emergere la fondamentale inadeguatezza. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove vinse la Palma d'oro insieme a La notte del piacere (1951) di Alf Sjöberg. Musiche di Alessandro Cicognini.