Fernando (Germán Jaramillo), scrittore omosessuale disilluso e pessimista, torna nella nativa Medellin, in Colombia, dove inizia un'appassionata relazione con l'adolescente Alexis (Anderson Ballesteros), cresciuto in un mondo di crimine e povertà che ne ha fatto un giovane assassino.

Racconto sociale, mélo sentimentale, riflessione religiosa, apologo su morte, vecchiaia e (mala) gioventù: tutti questi temi si affastellano nel cupo e amarissimo film di Barbet Schroeder, tratto dall'omonimo romanzo semi-autobiografico (1994) di Fernando Vallejo, che cura anche la sceneggiatura. Schroeder gira una sorta di personale Morte a Venezia (Luchino Visconti, 1971) molto carnale, trasportato tra le strade di una delle città (all'epoca) più pericolose al mondo, dove la violenza è mostrata in modo asciutto, disturbante, a tratti decisamente gratuito. L'unico barlume di umanità risiede nella passione amorosa, nella ricerca disperata di un rifugio spirituale, nella contraddittoria purezza amorale dei giovani “angeli della morte” che Fernando incontra nel suo cammino. Ogni speranza, però, è destinata a infrangersi contro un destino di crudeltà inesorabile. Potente, anche se leggermente compiaciuto e un po' di maniera. Presentato in concorso alla Mostra di Venezia, ha conquistato la Medaglia d'oro della Presidenza del Senato. Il regista appare in un cameo, non accreditato.
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