The Assassin

Nie yin niang

Premi Principali

Premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2015

Durata

105

Regista

Nella Cina del IX secolo, durante il periodo della dinastia Tang, una donna (Shu Qi), allevata e addestrata per essere un’assassina crudele e senza scrupoli, si ritroverà in crisi nel momento in cui le sue mansioni da sicaria si scontreranno in maniera irrimediabile con le ragioni del proprio cuore. Cosa scegliere tra il dovere e l’amore?



Folgorante ritorno dietro la macchina da presa per il maestro taiwanese Hou Hsiao-hsien, a ben otto anni di distanza dal precedente Le voyage du ballon rouge (2007). Il regista firma una potentissima e abbagliante decostruzione del genere wuxia, lavorando in maniera astratta e metafisica sulle coordinate spaziali e temporali della propria messa in scena: le immagini in digitale, di ammirevole perfezione formale, si sposano a meraviglia con un montaggio ellittico nel quale le brusche interruzioni di alcune sequenze, o in alternativa l’uso distensivo e carezzevole delle dissolvenze, generano un’atmosfera di indecifrabile ma allo stesso tempo poeticissimo mistero. Hou Hsiao-hsien più che girare, dipinge cinema: la sua è una sinfonia per immagini che spinge lo spettatore a perdersi in un marea di tableaux vivants che si susseguono uno dopo l’altro, come in una visione onirica dai colori superdefiniti e dalle tonalità estremamente sature e sovraesposte. Soffermarsi sugli innumerevoli dettagli della trama, in parte abbastanza prolissi e oltremodo minuziosi, appare pertanto un esercizio tanto meccanico quanto sterile: il cinema di Hou, all’alba del 2015, è ormai solo e soltanto un irripetibile esempio di amore assoluto per la creazione artigianale e per il culto amorevole di ciascuna inquadratura. The Assassin è l’inno innamorato a un’epica remota e forse perduta, a una cultura orientale della quale si vuole restituire l’incanto primigenio ma anche le composizioni ieratiche: non è un caso, dopotutto, che Hou filmi qualsiasi sequenza, perfino i duelli marziali, come se stesse immortalando un rito sacro. Notevole prologo in bianco e nero, memorabile la protagonista Shu Qi. Il finale segna l’inizio di una nuova vita, di un nuovo viaggio, di una possibile e auspicabile nuova speranza: siamo di fronte al cuore mélo del cinema del regista. Premio per la miglior regia al Festival di Cannes.
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