L'attrice Liang Ching (Anni Shizuka Inoh) deve interpretare Chiang Bi-yu, una rivoluzionaria degli anni Trenta, figura controversa e discussa che era stata sottoposta alla gogna pubblica per aver avere prestato aiuto ad altri rivoluzionari cinesi.

Un Hou Hsiao-hsien (Città dolente, del 1989) non insolito ma meno ispirato, che affronta senza troppi slanci un tema complesso come il conflitto tra la verità della vita e la menzogna della recitazione: tema che, però, non sembra interessarlo troppo da vicino. Sottotono da tutti i punti di vista, a cominciare da uno stile che non trova un'adeguata quadratura: il regista ricorre ai suoi consueti piani-sequenza, che nella loro sobria fissità si rivelano, in questo caso, un involucro incapace di rendere giustizia all'insieme, che avrebbe avuto bisogno di qualche variazione in più. Un ridimensionamento diverso, in grado, magari, di infondere più pathos a una materia che appare invece svuotata e votata alla freddezza. Anche l'ellissi narrativa non punge, e i non detti, e ciò che si vorrebbe dire tra le righe, finiscono col risultare pura e semplice mancanza. Troppo forte e ingiustificato, tra l'altro, il contrasto tra il bianco e nero e il colore utilizzato per aprire il racconto della modernità.
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