Due giovani (Jesse Plemons e Aidan Delbis) con l’ossessione dei complotti rapiscono la potente amministratrice delegata (Emma Stone) di una grande azienda, convinti che sia un’aliena intenzionata a distruggere il pianeta Terra.

Dopo il pasticcio sconclusionato di Kind of Kindness (2024), Yorgos Lanthimos torna dietro la macchina da presa per adattare il film coreano Save the Green Planet (2003) di Jang Joon-hwan, piegandolo al suo stile soltanto da un punto di vista estetico. La base dell’originale viene infatti mantenuta ampiamente dalla sceneggiatura di Will Tracy, tanto che Bugonia si può a tutti gli effetti considerare un rifacimento di quella pellicola di oltre vent’anni prima. Come se non bastasse che già il canovaccio di questo lungometraggio sembri uscito da un convenzionale racconto di fantascienza del Novecento, così l’innovazione narrativa è pari quasi allo zero, tanto che non ci sono neanche grandi scarti su temi indubbiamente interessanti – come quello del complottismo – che potevano essere approfonditi ulteriormente. La messinscena del regista greco riesce anche a giocare in maniera sufficiente con la tensione e il senso di claustrofobia che si respira nella casa dove si svolge tutta la narrazione (non pensate però alla forza di Dogtooth), ma il film si perde sempre più col passare dei minuti anche da questo punto di vista, oltrepassando il grottesco e rasentando il ridicolo con elementi parodici (l’immagine della Terra piatta) che finiscono unicamente per risultare demenziali. Così sembra considerare Lanthimos il suo spettatore, costruendo quella che risulta una totale presa in giro del pubblico e della sua intelligenza, nascosta dietro i toni di un cinema fintamente artistico e totalmente iperbolico: dal telefonatissimo colpo di scena finale all’uso esasperato della musica, gli ingredienti sono quelli di un film che vuole essere urlato a tutti i costi per nascondere il vuoto cosmico che si porta dietro. Più che usare la satira in maniera intelligente, Lanthimos opta per modalità furbette e su una violenza spesso gratuita la cui forza si esaurisce ancor prima di iniziare. Al termine dei titoli di coda, semplicemente, non resta niente di nuovo – o di intelligente – su cui riflettere o discutere. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025.

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