L'isola della donna contesa
The Saga of Anathan
Durata
92
Formato
Regista
Nel giugno del 1944, dopo essersi salvati da un bombardamento americano che ha affondato la loro nave, dodici soldati giapponesi sbarcano sull'isola di Anathan, abitata soltanto dalla bella Keiko (Akemi Negishi) e dal suo compagno, Kusakabe (Tadashi Suganuma). Ucciso l'uomo, Keiko è contesa dai vari soldati disposti a tutto, anche ad eliminarsi a vicenda, per attirare le attenzioni della giovane donna.
Ultimo film di Josef von Sternberg e una delle sue opere più libere in cui l'estetismo stilizzato viene portato all'eccesso dando vita a un prodotto ambivalente e curioso, affascinante eppure irrisolto. Insolitamente scritto in solitaria, il film si presenta come una sorta di testamento della poetica del cineasta austriaco, un saggio di messa in scena barocca e irrealtà visionaria espressa attraverso una costruzione visiva tanto seducente quanto posticcia. Su tutto, infatti, domina un senso di artificialità accentuato dalla scelta di von Sternberg di girare interamente il film in studio, ammantando così l'intera pellicola di un'atmosfera artefatta in cui spicca comunque l'unico elemento di verità ovvero lo splendido corpo di Keiko, la donna contesa del titolo, emblema di una sensualità che unisce ambiguità erotica e esotismo. Sprazzi di pura genialità inventiva si alternano a momenti di stanca narrativa che fanno di questo ultimo lungometraggio di von Sternberg un oggetto indecifrabile, incantevole e irritante allo stesso tempo. Il soggetto è tratto da un racconto di Michiro Maruyama, a sua volta ispirato a un fatto vero. La fotografia è opera dello stesso regista che, nella versione originale, è impegnato anche nella voce fuori campo.
Ultimo film di Josef von Sternberg e una delle sue opere più libere in cui l'estetismo stilizzato viene portato all'eccesso dando vita a un prodotto ambivalente e curioso, affascinante eppure irrisolto. Insolitamente scritto in solitaria, il film si presenta come una sorta di testamento della poetica del cineasta austriaco, un saggio di messa in scena barocca e irrealtà visionaria espressa attraverso una costruzione visiva tanto seducente quanto posticcia. Su tutto, infatti, domina un senso di artificialità accentuato dalla scelta di von Sternberg di girare interamente il film in studio, ammantando così l'intera pellicola di un'atmosfera artefatta in cui spicca comunque l'unico elemento di verità ovvero lo splendido corpo di Keiko, la donna contesa del titolo, emblema di una sensualità che unisce ambiguità erotica e esotismo. Sprazzi di pura genialità inventiva si alternano a momenti di stanca narrativa che fanno di questo ultimo lungometraggio di von Sternberg un oggetto indecifrabile, incantevole e irritante allo stesso tempo. Il soggetto è tratto da un racconto di Michiro Maruyama, a sua volta ispirato a un fatto vero. La fotografia è opera dello stesso regista che, nella versione originale, è impegnato anche nella voce fuori campo.