New York, anni 40 del Novecento. Florence Foster Jenkins (Meryl Streep) è una ricca ereditiera con un sogno nel cassetto: diventare una grande cantante. Nonostante sia convinta di avere un notevole talento, la sua voce è stridula e stonata. Il marito e manager St. Clair Bayfield (Hugh Grant), un attore inglese di origini aristocratiche, cerca faticosamente di nascondere la dura verità alla sua amata, ma quando Florence decide di esibirsi in un concerto pubblico alla Carnegie Hall, il castello di carte creato intorno a lei rischia improvvisamente di crollare.

Tratto dalla vera storia di Florence Foster Jenkins, vicenda che, molto curiosamente, aveva ispirato anche Marguerite (2015), film francese di Xavier Giannoli di solo un anno precedente al film di Stephen Frears. Il regista britannico gira con la consueta attenzione e studia bene i dettagli, sa come dirigere anche gli attori di contorno e il soggetto è indubbiamente nelle sue corde. Peccato però che, nonostante la cura formale evidente, manchi al film un guizzo decisivo e alcuni passaggi narrativi appaiano troppo studiati a tavolino, soprattutto con l’approssimarsi della conclusione. Funziona meglio il registro leggero di quello drammatico (sempre efficace il primo, spesso forzato il secondo), anche se il personaggio di Florence Foster Jenkins è indubbiamente tragico ed è facile empatizzare con le sue disgrazie. Impeccabile Meryl Streep, ma Hugh Grant (in gran forma) non è da meno.
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