L'immagine allo specchio
Ansikte mot ansikte
Durata
114
Formato
Regista
La psichiatra Jenny Isaksson (Liv Ullmann) è rimasta da sola in città: il marito (Sven Lindberg) è via per lavoro, e sua figlia (Helene Friberg) è al campeggio estivo. Nella sua vecchia camera riaffioreranno terribili ricordi e tormenti mai sopiti.
Tra tutte le indagini sulla psicologia femminile fatte da Ingmar Bergman in carriera (si pensi al capolavoro Persona del 1966), L'immagine allo specchio è una delle più intense, struggenti e ricche di tematiche importanti. Il ricordo si mescola all'angoscia esistenziale di una donna infelice, mai amata davvero, che cerca incessantemente un affetto a cui potersi aggrappare. I nonni, la figlia, il ginecologo interpretato da Erland Josephson: tutte le figure di contorno finiscono per essere ennesimi fantasmi che non possono darle la certezza che vorrebbe. Jenny Isaksson fa terribili incubi a occhi aperti, e soffre di allucinazioni che la porteranno a tentare il suicidio. Bergman gioca a fare lo psicanalista, e l'intera pellicola è una seduta la cui paziente è proprio una psichiatra. Qualche macchinosità narrativa di troppo viene tenuta nascosta da una Liv Ullmann in stato di grazia: il suo soliloquio in cui “interpreta” (anche) la madre e la nonna del suo personaggio, cambiando di volta in volta espressione e timbro vocale, andrebbe studiata nelle più importanti accademie d'arte drammatica del mondo. Una performance memorabile (premiata con diversi importanti riconoscimenti) che alza da sola il livello complessivo della pellicola: anche il resto del cast, però, è in ottima forma. Nell'edizione televisiva il film dura 200 minuti ed è diviso in quattro parti.
Tra tutte le indagini sulla psicologia femminile fatte da Ingmar Bergman in carriera (si pensi al capolavoro Persona del 1966), L'immagine allo specchio è una delle più intense, struggenti e ricche di tematiche importanti. Il ricordo si mescola all'angoscia esistenziale di una donna infelice, mai amata davvero, che cerca incessantemente un affetto a cui potersi aggrappare. I nonni, la figlia, il ginecologo interpretato da Erland Josephson: tutte le figure di contorno finiscono per essere ennesimi fantasmi che non possono darle la certezza che vorrebbe. Jenny Isaksson fa terribili incubi a occhi aperti, e soffre di allucinazioni che la porteranno a tentare il suicidio. Bergman gioca a fare lo psicanalista, e l'intera pellicola è una seduta la cui paziente è proprio una psichiatra. Qualche macchinosità narrativa di troppo viene tenuta nascosta da una Liv Ullmann in stato di grazia: il suo soliloquio in cui “interpreta” (anche) la madre e la nonna del suo personaggio, cambiando di volta in volta espressione e timbro vocale, andrebbe studiata nelle più importanti accademie d'arte drammatica del mondo. Una performance memorabile (premiata con diversi importanti riconoscimenti) che alza da sola il livello complessivo della pellicola: anche il resto del cast, però, è in ottima forma. Nell'edizione televisiva il film dura 200 minuti ed è diviso in quattro parti.