Maradona, la mano di Dio
Durata
110
Formato
Regista
La storia di Diego Armando Maradona (Marco Leonardi, Abel Ayala, Gonzalo Alarcon), tra i calciatori più forti di tutti i tempi: dagli esordi, vissuti in assoluta povertà, all'apice di una carriera folgorante. Determinante per la vittoria del mondiale dell'Argentina nel '76 e dei due scudetti del Napoli (1987 e 1990), il campione avrà una vita conflittuale, tra successi sportivi e drammi privati: la droga, i contrasti con la moglie, i problemi di salute e il doping.
Marco Risi affronta una delle figure sportive più controverse e appetibili per quanto riguarda il racconto e la narrazione, ma anche una delle più scivolose e impervie. La sfida del regista non può dirsi però riuscita: il suo film è privo di respiro e l'andamento narrativo sa troppo di fiction, incagliandosi quasi sempre in dinamiche usurate (i comportamenti dissoluti di Maradona, la disperazione della moglie). Certe scene divenute iconiche, come il goal agli inglesi definito da Maradona stesso "la mano de Dios", sono state visivamente spoetizzate da un montaggio alternato che contamina documento e finzione, rasentando il pedestre, per non parlare di quanto il regista metta mano a degli amplessi per usarli come motori narrativi, raggiungendo così l'apice del cattivo gusto. A coronare il tutto, una certa freddezza autoriale, che esclude qualsiasi calore narrativo. Da dimenticare. Fotografia di Marco Onorato.
Marco Risi affronta una delle figure sportive più controverse e appetibili per quanto riguarda il racconto e la narrazione, ma anche una delle più scivolose e impervie. La sfida del regista non può dirsi però riuscita: il suo film è privo di respiro e l'andamento narrativo sa troppo di fiction, incagliandosi quasi sempre in dinamiche usurate (i comportamenti dissoluti di Maradona, la disperazione della moglie). Certe scene divenute iconiche, come il goal agli inglesi definito da Maradona stesso "la mano de Dios", sono state visivamente spoetizzate da un montaggio alternato che contamina documento e finzione, rasentando il pedestre, per non parlare di quanto il regista metta mano a degli amplessi per usarli come motori narrativi, raggiungendo così l'apice del cattivo gusto. A coronare il tutto, una certa freddezza autoriale, che esclude qualsiasi calore narrativo. Da dimenticare. Fotografia di Marco Onorato.