Sicilia, XVIII secolo. Marianna (Emmanuelle Laborit), figlia sordomuta del Duca Signoretto (Philippe Noiret), al compimento dei tredici anni viene obbligata a sposare lo zio Pietro (Roberto Herlitzka), con cui ha quattro figli. Per educarli, viene chiamato Grasse (Bernard Giraudeau), attraverso il quale la ragazza impara il linguaggio dei segni, ma l'uomo viene poi allontanato. Alla morte di Pietro, Marianna diventa indipendente e scopre l'origine della sua menomazione.

Tratto dal romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990) di Dacia Maraini, il nono lungometraggio di Roberto Faenza si avvale di un cast internazionale ben assortito, tra cui spicca Emmanuelle Laborit, attrice e scrittrice francese realmente sordomuta, e da ottimi collaboratori tecnici, grazie ai quali riesce a restituire l'atmosfera dell'epoca. Tuttavia, la suggestiva resa visiva non è sufficiente a rendere il film riuscito: la vicenda, frutto di semplificazioni della pagina scritta di origine, rimane una semplice illustrazione edulcorata con velleità autoriali, mentre la presenza di un certo maschilismo dilagante, accettato e taciuto, viene resa in maniera superficiale. Concentrato unicamente sulla confezione, Faenza si dimentica di dare un'anima ai personaggi e al film stesso. Il risultato è un noioso compitino ben svolto, privo di spessore ed emozioni.
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