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Premi Principali

Leone d'argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia 2007
Durata
90
Formato
Regista
Iraq, 2006: all'impeto dell'azione, nelle esistenze di alcuni soldati statunitensi in missione, si accompagna sovente l'atrocità della noia, filtrata attraverso l'approccio a filmini in “mini dv” che testimoniano l'incedere di una insopportabile routine che ben presto li conduce a macchiarsi di una colpa terrificante.
Accantonata temporaneamente ogni forma di fascinazione hitchcockiana, Brian De Palma vira verso una storia di stupro e violenza ai tempi della guerra. I campi di battaglia non sono più quelli vietnamiti di Vittime di guerra (1989), ma quelli dell'Iraq del nuovo millennio: è un duro atto di denuncia nei confronti degli Stati Uniti questo piccolo grande film, un'opera ferocemente autocritica, pronta a non fare sconti a nessuno, soprattutto quando la complicità sta nell'occhio di chi guarda. Non colpisce soltanto per i contenuti, ma anche e soprattutto per un vigore formale che riflette sul senso dell'immagine in epoca contemporanea, sulla necessità di filmare e archiviare ogni nostra azione, sui mezzi d'informazione e sulla condivisione in rete. Non a caso la narrazione procede in maniera decisamente insolita, riducendo al minimo i momenti di oggettività cinematografica, mostrando l'evoluzione degli eventi attraverso le immagini riprese da vari dispositivi: circuiti di sicurezza, videocamere amatoriale, filmati postati sul web. In questo modo il regista (qui anche sceneggiatore) pone l'accento sul cortocircuito visivo dell'epoca contemporanea in cui il carattere voyeuristico di osservazione della realtà viene accentuato, rivelando le contraddizioni e la ferocia dell'animo umano. Terrificante e lucidissimo, un film che non si dimentica facilmente, vittima di una pessima distribuzione, nonostante la conquista del Leone d'argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007.
Accantonata temporaneamente ogni forma di fascinazione hitchcockiana, Brian De Palma vira verso una storia di stupro e violenza ai tempi della guerra. I campi di battaglia non sono più quelli vietnamiti di Vittime di guerra (1989), ma quelli dell'Iraq del nuovo millennio: è un duro atto di denuncia nei confronti degli Stati Uniti questo piccolo grande film, un'opera ferocemente autocritica, pronta a non fare sconti a nessuno, soprattutto quando la complicità sta nell'occhio di chi guarda. Non colpisce soltanto per i contenuti, ma anche e soprattutto per un vigore formale che riflette sul senso dell'immagine in epoca contemporanea, sulla necessità di filmare e archiviare ogni nostra azione, sui mezzi d'informazione e sulla condivisione in rete. Non a caso la narrazione procede in maniera decisamente insolita, riducendo al minimo i momenti di oggettività cinematografica, mostrando l'evoluzione degli eventi attraverso le immagini riprese da vari dispositivi: circuiti di sicurezza, videocamere amatoriale, filmati postati sul web. In questo modo il regista (qui anche sceneggiatore) pone l'accento sul cortocircuito visivo dell'epoca contemporanea in cui il carattere voyeuristico di osservazione della realtà viene accentuato, rivelando le contraddizioni e la ferocia dell'animo umano. Terrificante e lucidissimo, un film che non si dimentica facilmente, vittima di una pessima distribuzione, nonostante la conquista del Leone d'argento per la miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007.