Nel corso degli anni, un'affascinante ladra (Rebecca Romijn-Stamos) cambia più volte identità, e si ritrova a dover fronteggiare pericolosi intrighi e scomodi fraintendimenti.

Il più compiuto e complesso dei tentativi di Brian De Palma di ricreare lo spirito dei thriller hitchcockiani coincide con uno dei suoi film migliori. Perché? Perché il manierismo (innegabile) non rimane una cifra stilistica autoreferenziale ma si mescola con saggezza all'autocompiacimento, unendo il rigore formale all'impressionante capacità di sviluppare una storia di taglio moderno. A partire dal saffico incipit, che prende avvio da una première a Cannes, si comprendono subito le precise e morbose intenzioni di De Palma: il regista gioca con il corpo della protagonista Rebecca Romjin-Stamos (perfetta) e la pone al centro di un sofisticato meccanismo di fascinazione e sotteso erotismo. Conturbante, spiazzante, frenetico, incredibilmente inventivo e irresistibile per la sua forza visiva: strepitoso l'uso dello split screen, tecnica in cui De Palma si conferma maestro assoluto, ma i virtuosistici e avvolgenti movimenti di macchina sono altrettanto memorabili. Splendida la colonna sonora di Ryūichi Sakamoto che nella sequenza iniziale si richiama ai motivi musicali del Bolero di Ravel. Peccato soltanto che il film non abbia ottenuto il successo che meritava e sia, ancora oggi, una piccola perla di sottostimata grandezza.

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