L'inspiegabile suicidio di un collega è solo il primo di una serie di inquietanti avvenimenti di cui la giovane Michi (Kumiko As) è suo malgrado testimone. Parallelamente lo studente Ryosuke (Haruhiko Kat) si collega per la prima volta a internet e finisce su un inquietante sito che gli propone di incontrare un fantasma. Tutto sembra aver a che fare con una misteriosa stanza sigillata con del nastro adesivo rosso.

Puntualmente classificato come J-horror al pari dei ben noti The Ring (1998) di Hideo Nakata e Ju-on: The Grudge (2003) di Takashi Shimizu, è un titolo che trova più correttamente posto all'interno del percorso individuale di un regista che, da Cure (1997) in poi, si è sforzato di piegare i generi a una personale visione della realtà, rifiutandone di volta in volta cliché e stilemi consolidati per poterne fare continuo terreno di sperimentazione. Non fa eccezione questo dramma esistenziale mascherato da ghost story, in cui Kurosawa dice la sua, pur con qualche didascalismo di troppo, in merito a un mondo sempre più tecnologizzato e apparentemente interconnesso, dove vivi e morti si confondono tra loro nella condivisione della stessa tragica solitudine. Tolta di mezzo la classica figura dell'onry (il fantasma rancoroso e vendicativo della tradizione giapponese protagonista di molti celebri J-horror) Kurosawa dà vita a inediti fantasmi malinconici, preferendo lavorare su atmosfere angosciose e soffocanti piuttosto che sull'orrore più diretto e immediato. Tratto dall'omonimo romanzo dello stesso Kurosawa.
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