Una vedova allegra...ma non troppo
Married to the Mob
Durata
104
Formato
Regista
La vedova (Michelle Pfeiffer) di un boss mafioso defunto (Alec Baldwin) intende sottrarsi al corteggiamento sfrenato di un boss omicida (Dean Stockwell) che le si fa sotto infischiandosene delle gelosie della moglie (Mercedes Ruehl). Un agente FBI (Matthew Modine), nel frattempo, la tallona.
Ancora una volta un film all'insegna dell'ibridazione per Jonathan Demme, che ha sempre dimostrato di saper mischiare le carte in tavola senza mai prostrarsi all'affollato altare del postmoderno: questa volta la commedia di matrice classica, possibilmente screanzata e magari pure "on the road", incontra l'immaginario della mafia italo-americana producendo una specie di incursione sopra le righe negli stereotipi del genere gangsteristico, pronti per essere rovesciati da una prospettiva femminile anche se attraversati più con superficialità che con autentica cattiveria. Rispetto ad altri di Demme il film è infatti assai più dimenticabile e sopravvalutato, oleografico fino a risultare fastidioso ed esilissimo. Diverte a tratti, ma le caratterizzazioni non graffiano più di tanto e, vicino com'è ai novanta, appare datato già per la sua epoca, figuriamoci oggi. Ragguardevoli, comunque, i titoli di coda finali, giustamente noti, e a dir poco magnetica la Pfeiffer nel delineare la sofferta e umorale vitalità del suo personaggio, a suo modo struggente: la sua, al netto di tutto, rimane una delle interpretazioni decisive degli anni ’80, dal fascino tanto indifeso quanto prepotente. Musiche del fedelissimo David Byrne.
Ancora una volta un film all'insegna dell'ibridazione per Jonathan Demme, che ha sempre dimostrato di saper mischiare le carte in tavola senza mai prostrarsi all'affollato altare del postmoderno: questa volta la commedia di matrice classica, possibilmente screanzata e magari pure "on the road", incontra l'immaginario della mafia italo-americana producendo una specie di incursione sopra le righe negli stereotipi del genere gangsteristico, pronti per essere rovesciati da una prospettiva femminile anche se attraversati più con superficialità che con autentica cattiveria. Rispetto ad altri di Demme il film è infatti assai più dimenticabile e sopravvalutato, oleografico fino a risultare fastidioso ed esilissimo. Diverte a tratti, ma le caratterizzazioni non graffiano più di tanto e, vicino com'è ai novanta, appare datato già per la sua epoca, figuriamoci oggi. Ragguardevoli, comunque, i titoli di coda finali, giustamente noti, e a dir poco magnetica la Pfeiffer nel delineare la sofferta e umorale vitalità del suo personaggio, a suo modo struggente: la sua, al netto di tutto, rimane una delle interpretazioni decisive degli anni ’80, dal fascino tanto indifeso quanto prepotente. Musiche del fedelissimo David Byrne.