Il segno degli Hannan

Un agente segreto della Cia, newyorkese di origini ebree (Roy Scheider), sente di avere qualcuno alle calcagna, ma ne ignora il motivo. Ha anche perso la moglie, e il suo equilibrio sentimentale e psicologico è sempre più in frantumi.

Residui hitchcockiani piuttosto palesi e calcati in un thriller firmato da Jonathan Demme con una raffinatezza nei movimenti di macchina e nell'impianto visivo che, fino a questo momento, il regista non aveva mai sbandierato con questa convinzione e con una tale consapevolezza dei propri mezzi. Dal punto di vista dei meccanismi di tensione l'intreccio convince e sa come avvolgere lo spettatore nelle sue spire, ma è la natura forse troppo derivativa dell'operazione a impedirle di spiccare il volo a partire dalle sue solidissime potenzialità. In più di un'occasione, infatti, il rispettoso e abnegato confronto col maestro del brivido si traduce in un compitino didattico, calligrafico e telefonato. Innegabili, in compenso, un memorabile Scheider e un finale altrettanto indimenticabile sulle cascate del Niagara.