Scozia del Nord, all'inizio degli anni Settanta. All'interno di una comunità calvinista rigida e austera, la vergine Bess (Emily Watson) sposa d'impulso lo svedese Jan (Stellan Skarsgård) che lavora su una piattaforma petrolifera. Quando il marito rimane paralizzato in seguito a un incidente, Bess si sente responsabile e cerca di salvare Jan in qualsiasi modo, disposta perfino a prostituirsi su richiesta dell'uomo. Il comportamento di Bess è però mal visto dai suoi concittadini.



Da molti considerato il film della svolta mistica e spirituale di von Trier, Le onde del destino è, in realtà, un'opera che conferma, e per certi versi radicalizza, lo sguardo profondamente pessimista dell'autore sulla natura umana e sulla religione. La protagonista Bess è, come viene definita dal suo medico curante, “malata” di bontà: una bontà pura, disinteressata e naturale, quindi destinata a essere sconfitta e disonorata da una società ipocrita, meschina e retrograda, incapace di accettare e comprendere sentimenti di genuino e spontaneo altruismo. E a mostrare particolare grettezza e aridità sono quelle istituzioni rappresentanti in terra di un Dio vendicativo ed egoista che pretende totale devozione e disposizione al sacrificio. Quello di Bess è il martirio di una santa laica, disposta a umiliarsi pur di salvare l'uomo che ama, una bizzarra eroina che ha vissuto gran parte della sua vita nel timore di Dio e degli uomini in una forma di autoesilio preventivo da quel mondo crudele e spietato che sarà poi chiamata ad affrontare in nome dell'amore. L'abnegazione estrema della donna sarà ripagata, ma in maniera beffarda come mostra un finale più amaro e caustico di quanto possa in apparenza sembrare. Un melodramma potente, profondo e spiazzante, sempre in grado di evitare cadute nel patetismo anche grazie alla stupefacente interpretazione di Emily Watson, intensa e realistica nel dar vita a un personaggio struggente e difficilmente dimenticabile. Notevole uso della colonna sonora che, con alcuni popolari pezzi pop, accompagna l'introduzione di ogni capitolo in cui il film è diviso. Il finale può essere amato o odiato, ma indubbiamente è una delle conclusioni più memorabili e inattese di tutti gli anni Novanta. Gran Premio della Giuria a Cannes nel 1996.
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