A pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, in un albergo di Vienna si incontrano un ex SS (Dirk Bogarde), che ora lavora come portiere notturno, e una sopravvissuta ai campi di sterminio (Charlotte Rampling), da lui seviziata durante la prigionia. I due intrecceranno di nuovo una relazione, morbosa e sadomaso.

Con Il portiere di notte, Liliana Cavani preme – fortissimo – il piede sull'acceleratore della trasgressione. Inutile celarlo dietro intenzioni estetiche, o sedicenti istanze politiche (che pure non mancano): il film è un'opera estrema e a suo modo di forte provocazione, che fa i conti con la Storia e con le ineluttabilità del tempo, come fosse tutto un enorme gioco al dolore e alla decadenza. L'opera non si riserva il diritto di essere a momenti sprezzante e dura, soprattutto quando la Cavani riflette (e bene) sull'inquietudine post-conflitto per i nazisti “nascosti”, come vessillo timido e vergognoso di un momento storico drammatico. Un'opera, però, attraversata anche da lampi di innegabile autoreferenzialità. E al di sopra di questo incredibile (e ammaliante) miscuglio, regna la fascinazione verso il male (qui formalizzato nelle strutture del nazismo), verso l'anti-gerarchia dei ruoli, verso il senso di colpa che diventa veicolo di eccitazione. Controverso, ma sa troppo di esserlo. Bravissimi Bogarde e Charlotte Rampling. Raffinate luci di Alfio Contini.
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