Guia (Gela Kandelaki), giovane musicista, suona il timpano nell'Orchestra di Tbilisi. Svagato, distratto, sempre in giro tra amici e ragazze, fa fatica a concentrarsi sulla musica, tanto che il direttore d'orchestra lo vuole cacciare. Ma, nonostante i rimproveri, Guia non sembra preoccupato più di tanto di cambiare.

Otar Iosseliani segue Guia, simpatico e svagato flâneur, per le vie di Tbilisi con la stessa ondivaga leggerezza con cui si muove protagonista. Un pedinamento partecipe e umanissimo, in cui la macchina si muove costantemente, gira intorno ai personaggi, li segue e li precede, indaga i volti e le reazioni di fronte a un eroe sfuggente, sempre attirato dall'altrove, dal prossimo incontro, da una nuova bevuta o da una donna da corteggiare. Come nel precedente La caduta delle foglie (1966), la pellicola rappresenta una dichiarazione polemica verso l'etica dominante del comunismo sovietico, anche se in maniera meno diretta. Svogliato e individualista, alieno a ogni senso di responsabilità imposto dall'alto, dalla ricerca del successo o dalla produttività a ogni costo, il film vive libero senza aderire a facili convenzioni. Ma il pessimismo dell'autore e il suo amaro determinismo appaiono in agguato in un finale che sorprende e commuove, pur senza far nulla per rincorrere l'emozione.
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