Caccia alle farfalle
La chasse aux papillons
Durata
115
Formato
Regista
In un piccolo paese della campagna francese vivono Marie-Agnes (Thamara Tarassachvili) e Solange (Narda Blanchet), due anziane cugine. Nonostante la prima sia costretta sulla sedia a rotelle, le donne, grazie all'energico polso di Solange, continuano a vivere in un meraviglioso castello di famiglia, risalente al Seicento. La sontuosa dimora fa gola a molti, soprattutto a una compagnia giapponese, la cui offerta di acquisto viene rifiutata. Ma quando Marie-Agnes muore improvvisamente e tutti i parenti si presentano sperando di ereditare il castello, una decisione deve essere presa.
Al pari del precedente Un incendio visto da lontano (1989), Caccia alle farfalle è un elegiaco addio a un mondo che viaggia rapidamente verso la scomparsa. Anche qui un eden apparentemente incontaminato (la tranquilla vita di paese, le gite in bicicletta, i piccoli screzi di vicinato quasi come gioco delle parti), portato via dal “progresso”, visto come brama di possesso, kitsch turistico (i giapponesi), modernizzazione e avidità. Come sempre in Iosseliani manca il giudizio predicatorio e l'intento è soprattutto volto a descrivere impressionisticamente un piccolo, laterale e periferico spaccato di umanità. Non è un paradiso perduto però quello che il regista georgiano rimpiange, quanto piuttosto un atteggiamento diverso verso le cose, una disponibilità alla lentezza, un gusto per l'inutile completamento travolto dall'avidità del contemporaneo. E l'iperbolica catastrofe finale va a segnare proprio con amarezza la morale di fondo: godersi la bellezza di quel che si ha, perché la vita è fragile e breve come un battito d'ali di farfalla. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Al pari del precedente Un incendio visto da lontano (1989), Caccia alle farfalle è un elegiaco addio a un mondo che viaggia rapidamente verso la scomparsa. Anche qui un eden apparentemente incontaminato (la tranquilla vita di paese, le gite in bicicletta, i piccoli screzi di vicinato quasi come gioco delle parti), portato via dal “progresso”, visto come brama di possesso, kitsch turistico (i giapponesi), modernizzazione e avidità. Come sempre in Iosseliani manca il giudizio predicatorio e l'intento è soprattutto volto a descrivere impressionisticamente un piccolo, laterale e periferico spaccato di umanità. Non è un paradiso perduto però quello che il regista georgiano rimpiange, quanto piuttosto un atteggiamento diverso verso le cose, una disponibilità alla lentezza, un gusto per l'inutile completamento travolto dall'avidità del contemporaneo. E l'iperbolica catastrofe finale va a segnare proprio con amarezza la morale di fondo: godersi la bellezza di quel che si ha, perché la vita è fragile e breve come un battito d'ali di farfalla. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.