Cantando dietro i paraventi
Durata
98
Formato
Regista
Un occidentale (Davide Dragonetti) finisce, forse per sbaglio, in un teatro con bordello (o viceversa) dove sul palco si rappresenta la storia di una famosa piratessa cinese, la vedova Ching (Jun Ichikawa), introdotta e commentata da un vecchio capitano spagnolo (Bud Spencer). La donna, dopo che il marito corsaro (Makoto Kobayashi) è stato ucciso a tradimento, guida le sue navi fino allo scontro con la flotta imperiale, prima del quale le sarà offerta una possibilità di resa onorevole.
Per declinare ancora una volta il tema, anche storico, del passaggio da un'età “eroica” a quella moderna, come già nel precedente Il mestiere delle armi (2001), Olmi prende (vagamente) spunto da un racconto di Borges per inventare le gesta di una condottiera animata in egual modo da spirito di rivalsa e da un proprio codice morale. La cornice narrativa è estremamente accattivante, con la finzione teatrale e le riprese su navi e oceani che si alternano felicemente, e la mano del regista bergamasco indiscutibile, così come l'emozione (almeno per lo spettatore italiano) per la prova “drammatica” di Spencer. A convincere meno sono alcune leggerezze (attori e oggetti dal Giappone utilizzati in vece dei corrispettivi cinesi) e una dubbia morale che si concretizza non tanto nella scelta finale della protagonista, quanto nel suo monologo precedente nel quale giustifica le scorribande in virtù di una presunta superiorità. Il doppiaggio lascia a desiderare, mentre è davvero degna di nota la capacità di Fabio Olmi di adattare la fotografia ai vari registri del film.
Per declinare ancora una volta il tema, anche storico, del passaggio da un'età “eroica” a quella moderna, come già nel precedente Il mestiere delle armi (2001), Olmi prende (vagamente) spunto da un racconto di Borges per inventare le gesta di una condottiera animata in egual modo da spirito di rivalsa e da un proprio codice morale. La cornice narrativa è estremamente accattivante, con la finzione teatrale e le riprese su navi e oceani che si alternano felicemente, e la mano del regista bergamasco indiscutibile, così come l'emozione (almeno per lo spettatore italiano) per la prova “drammatica” di Spencer. A convincere meno sono alcune leggerezze (attori e oggetti dal Giappone utilizzati in vece dei corrispettivi cinesi) e una dubbia morale che si concretizza non tanto nella scelta finale della protagonista, quanto nel suo monologo precedente nel quale giustifica le scorribande in virtù di una presunta superiorità. Il doppiaggio lascia a desiderare, mentre è davvero degna di nota la capacità di Fabio Olmi di adattare la fotografia ai vari registri del film.