Torino, fine della Seconda guerra mondiale. Ernesto (Amedeo Nazzari), tornato dalla prigionia in Germania, senza più famiglia e braccato dalla polizia a causa di un malinteso, si unisce a una banda di malviventi, capeggiata da Mirko (Mino Doro) e dalla cinica Lidia (Anna Magnani). La sua bontà d'animo lo trascinerà verso un tragico destino.

Uno dei più fulgidi (e rari) esempi di cinema nero italiano, capace di unire sapientemente un impianto neorealista nella dettagliata ricostruzione ambientale (le macerie lasciate dalla guerra, la popolazione piegata dalla carestia, il dramma dei reduci, l'ottusità delle istituzioni, il microcosmo criminale) a un intreccio memore della lezione americana. Amicizia virile, profonda dignità degli (eterni) sconfitti e fatalismo senza speranza segnano una pellicola stringata ed essenziale, in cui i momenti alti non mancano (il fugace incontro del protagonista con la sorella, la fuga tra i monti, lo struggente finale). In un film in cui tutti hanno la faccia giusta, Alberto Lattuada si rivela un maestro nella scelta dei caratteristi e nel rigore della composizione dell'immagine, grazie anche alla magistrale fotografia di Aldo Tonti. Grande prova di Anna Magnani, perfida e opportunista, intenso Amedeo Nazzari (non ancora impegnato nel melodramma strappalacrime), che ha ottenuto il Nastro d'argento per la sua perfetta interpretazione di un bandito dal cuore d'oro. Presentato in concorso alla 1ª edizione del Festival di Cannes.
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