Una locanda di Tokyo
TĹkyĹ no yado
Durata
80
Formato
Regista
Kihachi (Takashi Sakamoto) è rimasto vedovo, non ha piĂą una dimora in cui vivere e ha due figli a carico dei quali adesso si ritrova a essere l'unico custode. Quando si innamora, per garantire un futuro migliore a sé e agli altri, si improvvisa rapinatore e intraprende una carriera criminale.
Uno spaccato di emarginazione e miseria, attraverso il quale Ozu riflette ancora una volta sul suo paese e sugli strati meno abbienti della popolazione nipponica. L'affresco affettivo e sociale realizzato dal regista giapponese è il quarto capitolo di una saga dedicata a Sakamoto Takeshi, comprendente anche Capriccio passeggero (1932), Storia di erbe fluttuanti (1934) e Una ragazza innocente (1935), il terzo dei quali è però purtroppo andato perduto durante la Seconda guerra mondiale insieme a molti altri lavori del celebre regista. Si tratta di un'operazione che torna a soffermarsi, come altri titoli di Ozu, sul confine tra colpa e necessità, tra bene e male, tra la prospettiva impossibile di un benessere chimerico e l'amoralità quale unica via per perseguirlo e farlo proprio, con irrimediabile rapacità. Interrogandosi sul confine tra giusto e sbagliato, il maestro giapponese tocca punte un po' stonate e fin troppo programmatiche di drammaticità, che si insinuano mestamente nel solco del già visto e faticano a scaldare il cuore. Il regista sembra far proprio, come sempre, il giusto grado di compassione, ma è uno dei casi in cui la sua limpidezza coincide con la scolasticità. Qualcuno potrebbe volerlo far passare per la versione con gli occhi a mandorla di Ladri di biciclette (1948), ma il paragone non è neanche lontanamente pensabile.
Uno spaccato di emarginazione e miseria, attraverso il quale Ozu riflette ancora una volta sul suo paese e sugli strati meno abbienti della popolazione nipponica. L'affresco affettivo e sociale realizzato dal regista giapponese è il quarto capitolo di una saga dedicata a Sakamoto Takeshi, comprendente anche Capriccio passeggero (1932), Storia di erbe fluttuanti (1934) e Una ragazza innocente (1935), il terzo dei quali è però purtroppo andato perduto durante la Seconda guerra mondiale insieme a molti altri lavori del celebre regista. Si tratta di un'operazione che torna a soffermarsi, come altri titoli di Ozu, sul confine tra colpa e necessità, tra bene e male, tra la prospettiva impossibile di un benessere chimerico e l'amoralità quale unica via per perseguirlo e farlo proprio, con irrimediabile rapacità. Interrogandosi sul confine tra giusto e sbagliato, il maestro giapponese tocca punte un po' stonate e fin troppo programmatiche di drammaticità, che si insinuano mestamente nel solco del già visto e faticano a scaldare il cuore. Il regista sembra far proprio, come sempre, il giusto grado di compassione, ma è uno dei casi in cui la sua limpidezza coincide con la scolasticità. Qualcuno potrebbe volerlo far passare per la versione con gli occhi a mandorla di Ladri di biciclette (1948), ma il paragone non è neanche lontanamente pensabile.