Una madre, Otsune (Chōko Iida), si sacrifica moltissimo per pagare gli studi del figlio Ryosuke (Shin'ichi Himori). Quando, alcuni anni dopo, giunge a Tokyo per fargli visita, rimarrà spiazzata: non solo il figlio si è sposato ed è padre, ma le sue condizioni economiche sono, purtroppo, tutt'altro che invidiabili.

Primo film parlato del grande regista giapponese Yasujrô Ozu, che sfrutta tutte le armi del sonoro per dare vita a un lungometraggio poetico e struggente. Un'opera che lavora su affetto e disillusione, materie prime proprie più della vita che del cinema, che si sovrappongono e si rincorrono, generando sincera pietà e profondissima commozione. Una delle pietre angolari di tutto il cinema del maestro nipponico, capace com'è di eliminare ogni sovrastruttura e di ridursi a una fermezza quasi totale della macchina da presa, alla ricerca, in modo implacabile ma docile, di ogni istante di purezza disponibile e delle profondità più recondite dell'animo umano. Mentre il mondo, insieme all'identità giapponese, cambia a una velocità vorticosa e sempre più inquietante nel suo dinamismo privo di serenità e comprensibilità, il cinema di Ozu sembra diventare sempre più netto e acuto, forte di una pregnanza e una lucidità con pochi eguali nella storia del cinema. Figlio unico lavora su tali elementi con la massima onestà, parlando di rivalsa ma soprattutto di accettazione del dolore, di metropoli affollate e di relazioni tra consanguinei capaci di far scaturire una superiore, umanissima, forma di reciproca comprensione.

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