Note di un inquilino galantuomo
Nagaya shinshiroku
Durata
72
Formato
Regista
Giappone del dopoguerra. Un uomo (Eitar Ozawa) trova un ragazzino rimasto orfano (Hohi Aoki) in un piccolo borgo devastato dal conflitto, con l'intento di trovargli una famiglia. Tutti però si tirano indietro e nessuno vuole sobbarcarsi il sostentamento del bambino. L'unica a farsi avanti, curiosamente, sarà una vedova acida e dal cattivo temperamento, Otane (Chko Iida), che nonostante il suo caratteraccio si accorgerà di essersi in fondo affezionata al piccolo.
Ozu ritorna sui topoi che lo hanno accompagnato per gran parte della sua filmografia, facendo convogliare nello stesso film, in maniera assolutamente sinergica, il Giappone successivo alla Seconda guerra mondiale come teatro della devastazione e gli ambienti intimi prossimi al concetto di focolare domestico, in cui però ogni forma di serenità può essere solo ricreata con immensa fatica. In questo caso, però, nonostante l'impareggiabile vena umanista e filantropica del maestro nipponico sia tutt'altro che in sordina, al racconto di una pacificazione lenta e sofferta da condurre in termini poetici si sostituisce troppo spesso una facile tendenza al buonismo. Anche i personaggi, pur colpendo al cuore, sono piuttosto stereotipati. Primo film di Ozu dopo la fine della guerra, una contingenza rispecchiata dalla connotazione di alcune riprese nei campi di prigionia. In ogni caso, anche i film meno sfavillanti dell'autore hanno comunque un equilibrio impareggiabile che altri registi possono solo limitarsi ad anelare invano.
Ozu ritorna sui topoi che lo hanno accompagnato per gran parte della sua filmografia, facendo convogliare nello stesso film, in maniera assolutamente sinergica, il Giappone successivo alla Seconda guerra mondiale come teatro della devastazione e gli ambienti intimi prossimi al concetto di focolare domestico, in cui però ogni forma di serenità può essere solo ricreata con immensa fatica. In questo caso, però, nonostante l'impareggiabile vena umanista e filantropica del maestro nipponico sia tutt'altro che in sordina, al racconto di una pacificazione lenta e sofferta da condurre in termini poetici si sostituisce troppo spesso una facile tendenza al buonismo. Anche i personaggi, pur colpendo al cuore, sono piuttosto stereotipati. Primo film di Ozu dopo la fine della guerra, una contingenza rispecchiata dalla connotazione di alcune riprese nei campi di prigionia. In ogni caso, anche i film meno sfavillanti dell'autore hanno comunque un equilibrio impareggiabile che altri registi possono solo limitarsi ad anelare invano.