Il gusto del sakè

Shuhei (Chishū Ryū), ormai anziano, rimane completamente da solo nel momento in cui sua figlia Michiko (Shima Iwashita) convola a nozze. Per l'uomo, dirigente d'azienda, vedovo e padre anche di due figli maschi, non sarà semplice accettare la solitudine e l'inizio dell'ultima fase della sua esistenza.

Ultimo film realizzato dal regista giapponese Yasujirô Ozu prima della morte, avvenuta all'età di 60 anni nel 1963, Il gusto del sakè è la sublime conclusione di una carriera indimenticabile. Senza partire da un'idea di pellicola testamentaria, l'ultima opera del maestro nipponico ha addosso tutta la sommessa vitalità del periodo aureo del suo cinema, da intendere come adesione totale e spassionata alla vita dei propri personaggi, fotografati come sempre nella loro essenza quotidiana, con un'onestà che mette i brividi e colpisce al cuore. Un luminoso ritratto intimista («Si è sempre soli, nella vita») che fa emergere la tridimensionalità delle psicologia degli individui che popolano l'universo dell'autore attraverso un corredo infinito di accenni, sussurri, pennellate fugaci ma pregnanti, istanti irripetibili votati sia alla commozione che al crepuscolare, ma senza l'ombra di una nostalgia studiata e fine a se stessa (c'è, semmai, tanta buffa levità). Ozu è assolutamente geniale, dopotutto, nell'oscillare tra verità e ricordo, tra memoria e concretezza, come fossero due facce reali e complementari di una stessa medaglia e non due concetti astratti da ricondurre a sfere differenti dell'esistenza umana. Il gusto del sakè, di tutto ciò, è la definitiva e conclusiva conferma, l'ultimo tassello del mosaico di un cineasta unico, come sempre sospeso tra tenerezza e distacco verso le proprie creature. Finale meraviglioso, con un incredibile uso dei campi vuoti e un'ultima inquadratura davvero splendida nella sua mesta dolcezza.