
Pauline alla spiaggia
Pauline à la plage
Premi Principali
Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino 1983
Durata
94
Formato
Regista
Sul finire dell'estate, l'attraente Marion (Arielle Dombasle), appena uscita da un infelice matrimonio, e la nipote quindicenne Pauline (Amanda Langlet) trascorrono una vacanza in Normandia all'insegna di un reciproco confronto sull'amore, tra incontri galanti e riflessioni sul proprio rapporto con l'altro sesso.
Un piccolo grande film attraversato dalla grazia che, sulla base di un canovaccio narrativo tutt'altro che originale, mette in scena una storia di formazione giocata sul doppio binario dell'adolescenza e dell'età adulta. Situazioni straordinarie nella loro semplicità, due interpteti meravigliose circindate da personaggi secondari ben calibrati (l'aitante istruttore di windsurf interptetato da Pascal Greggory, l'etnologo divorziato di Féodor Atkine) e una giocosa atmosfera balneare di taglio naturalistico che diventa complemento ideale delle consuete ambientazioni parigine del cinema rohmeriano. Sulla base del detto secondo cui chi parla troppo reca danno a se stesso, il terzo capitolo del ciclo Commedie e proverbi contrappone istinto e maturità, in una analisi dei sentimenti condotta attraverso la puntualità della scrittura. Splendida la ricerca cromatica di Néstor Almendros, ispirata ai Fauves e in particolare a Matisse, tutta giocata su tinte pastello uniformi (bianco, rosso, blu) e morbidi passaggi tra luce e ombra ottenuti senza ricorrere al chiaroscuro. Orso d'argento, Premio FIPRESCI al Festival di Berlino e Premio Méliès nel 1983.
Un piccolo grande film attraversato dalla grazia che, sulla base di un canovaccio narrativo tutt'altro che originale, mette in scena una storia di formazione giocata sul doppio binario dell'adolescenza e dell'età adulta. Situazioni straordinarie nella loro semplicità, due interpteti meravigliose circindate da personaggi secondari ben calibrati (l'aitante istruttore di windsurf interptetato da Pascal Greggory, l'etnologo divorziato di Féodor Atkine) e una giocosa atmosfera balneare di taglio naturalistico che diventa complemento ideale delle consuete ambientazioni parigine del cinema rohmeriano. Sulla base del detto secondo cui chi parla troppo reca danno a se stesso, il terzo capitolo del ciclo Commedie e proverbi contrappone istinto e maturità, in una analisi dei sentimenti condotta attraverso la puntualità della scrittura. Splendida la ricerca cromatica di Néstor Almendros, ispirata ai Fauves e in particolare a Matisse, tutta giocata su tinte pastello uniformi (bianco, rosso, blu) e morbidi passaggi tra luce e ombra ottenuti senza ricorrere al chiaroscuro. Orso d'argento, Premio FIPRESCI al Festival di Berlino e Premio Méliès nel 1983.