Il sole
Solntse
Durata
110
Formato
Regista
1945. Sul finire della Seconda guerra mondiale, l'imperatore giapponese Hirohito (Issei Ogata) deve confrontarsi con la devastazione nazionale e con il crollo di ideali secolarmente radicati. Incontrerà Douglas MacArthur (Robert Dawson), comandante dell'esercito americano, e sceglierà di rinunciare allo status di divinità, guidando il popolo alla resa.
Dopo Moloch (1999) e Toro (2001), Aleksandr Sokurov continua la sua riflessione sulle contraddizioni del Potere, scegliendo come fulcro narrativo il supremo Hirohito, simbolo primario di contrasti ideologici e culturali tra Oriente e Occidente («Non capisco come simili personaggi possano governare il mondo e mandare milioni di persone a morire»). Raramente le ipocrisie e la fondamentale inadeguatezza delle autorità hanno trovato rappresentazione tanto incisiva: Sokurov imbriglia il declino di un paese (e di un intero universo) in geometrie rigorose e assolute (le linee del palazzo imperiale, prigione fisica e mentale dell'Imperatore), metaforizzando i (ri)cicli storici e gli invalicabili schematismi della burocrazia governativa e facendo detonare dall'interno l'inevitabile punto di fissione. Ma la tragedia, quasi ieratica, avviene senza rumore: ed è proprio tale, assordante silenzio (anche i dialoghi tra MacArthur e Hirohito sono, almeno da parte di quest'ultimo, poco più che sussurrati) a sancire la definitiva caduta, stigmatizzando il Male attraverso l'orgoglio e l'ottusità («Una divinità, in un mondo così degradato, non può che esprimersi in giapponese»). Meno radicale rispetto ai precedenti capitoli e a tratti appannato da un ritmo contemplativo, Il sole si rivela illuminante nel definire la degenerazione di un universo che di divino non ha più nulla; a partire dal fragile protagonista, preda di compulsioni e automatismi che definiscono l'inettitudine connaturata alle ambizioni dell'essere umano. Splendida, pittorica e quasi sperimentale la fotografia (firmata dallo stesso regista), con colori che sembrano fuoriuscire dallo schermo. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
Dopo Moloch (1999) e Toro (2001), Aleksandr Sokurov continua la sua riflessione sulle contraddizioni del Potere, scegliendo come fulcro narrativo il supremo Hirohito, simbolo primario di contrasti ideologici e culturali tra Oriente e Occidente («Non capisco come simili personaggi possano governare il mondo e mandare milioni di persone a morire»). Raramente le ipocrisie e la fondamentale inadeguatezza delle autorità hanno trovato rappresentazione tanto incisiva: Sokurov imbriglia il declino di un paese (e di un intero universo) in geometrie rigorose e assolute (le linee del palazzo imperiale, prigione fisica e mentale dell'Imperatore), metaforizzando i (ri)cicli storici e gli invalicabili schematismi della burocrazia governativa e facendo detonare dall'interno l'inevitabile punto di fissione. Ma la tragedia, quasi ieratica, avviene senza rumore: ed è proprio tale, assordante silenzio (anche i dialoghi tra MacArthur e Hirohito sono, almeno da parte di quest'ultimo, poco più che sussurrati) a sancire la definitiva caduta, stigmatizzando il Male attraverso l'orgoglio e l'ottusità («Una divinità, in un mondo così degradato, non può che esprimersi in giapponese»). Meno radicale rispetto ai precedenti capitoli e a tratti appannato da un ritmo contemplativo, Il sole si rivela illuminante nel definire la degenerazione di un universo che di divino non ha più nulla; a partire dal fragile protagonista, preda di compulsioni e automatismi che definiscono l'inettitudine connaturata alle ambizioni dell'essere umano. Splendida, pittorica e quasi sperimentale la fotografia (firmata dallo stesso regista), con colori che sembrano fuoriuscire dallo schermo. Presentato in concorso al Festival di Berlino.