Chicago, anni del proibizionismo. Due immigrati polacchi (Richard Conte e George Tyne) sono accusati dell'omicidio di un poliziotto, ucciso in circostanze poco chiare. Diversi anni dopo, un reporter volenteroso (James Stewart) s'interessa del caso poco convinto che sia stata fatta giustizia.

Ispirato a una storia vera, un film quasi unico nella storia del genere noir. Henry Hathaway non si limita a una messinscena realistica, ma mescola la finzione col documentario per dare maggiore credibilità al tutto: una scelta (seppur non nuova nella carriera del regista, che già la utilizzo ne La casa della 92ª strada del 1945) perfetta per rendere al meglio quella ricerca di verità assoluta a cui tende il giornalista protagonista. Hathaway gira senza fronzoli, ben supportato dall'elegante fotografia di Joseph MacDonald, che gioca con la luce e crea curiosi contrasti visivi dal respiro espressionista. Se l'andamento è serrato, il merito va anche a una maestosa scrittura dei personaggi, tra i quali – accanto al reporter interpretato da James Stewart – svetta Tillie Wicek (Kasia Orzazewski), madre di uno dei due condannati (Conte). È una figura disperata, con cui è facile empatizzare, disposta a mettere da parte ogni moneta guadagnata faticosamente per provare l'innocenza dell'amato figlio. Il risultato è indimenticabile, e non soltanto per la “tecnica mista” utilizzata. Musiche di Alfred Newman.
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