Detenuto in attesa di giudizio
Premi Principali
Orso d'argento per il miglior attore al Festival di Berlino 1972
Durata
102
Formato
Regista
Giuseppe Di Noi (Alberto Sordi) si è trasferito in Svezia, dove svolge la professione di geometra e vive con la moglie (Elga Andersen) e i figli. Per le vacanze torna in Italia ma, appena passata la frontiera, viene arrestato senza saperne il motivo. È solo l'inizio di un'odissea da incubo tra carceri e umiliazioni.
Il film nasce su una suggestione di Alberto Sordi, che aveva letto Operazione Montecristo, scritto da Lelio Luttazzi durante la sua incarcerazione, e ne era rimasto colpito. L'arretratezza della giustizia italiana, il degrado degli istituti di detenzione nazionali, dietro le cui mura si nascondono storie di abusi e sadismo, la lentezza e la fallacia di un sistema giudiziario arrugginito e incomprensibile: sono tutti temi toccati da una pellicola che mostra un violento cambio di prospettive per il protagonista, da nostalgico del Bel Paese a vittima di un incubo kafkiano. La regia di Nanni Loy denuncia senza paura un mondo finora lasciato ai margini, di cui tutti sanno ma di cui nessuno si interessa, e la brutalità dell'esperienza carceraria viene sottolineata da paesaggi suggestivi in stridente contrasto con la condizione dei prigionieri: ne è un esempio la sequenza nel carcere di Segunto, vicino al mare, in cui i detenuti passano la loro ora d'aria camminando in limitatissimi triangoli cementati. Alberto Sordi offre una delle sue interpretazioni più intense nel ruolo del protagonista, aggiudicandosi l'Orso d'argento a Berlino e il David di Donatello. Triste e sorprendente constatare come la realtà raccontata da Loy sia ancora applicabile alle condizioni odierne del diritto penale e dei suoi istituti.
Il film nasce su una suggestione di Alberto Sordi, che aveva letto Operazione Montecristo, scritto da Lelio Luttazzi durante la sua incarcerazione, e ne era rimasto colpito. L'arretratezza della giustizia italiana, il degrado degli istituti di detenzione nazionali, dietro le cui mura si nascondono storie di abusi e sadismo, la lentezza e la fallacia di un sistema giudiziario arrugginito e incomprensibile: sono tutti temi toccati da una pellicola che mostra un violento cambio di prospettive per il protagonista, da nostalgico del Bel Paese a vittima di un incubo kafkiano. La regia di Nanni Loy denuncia senza paura un mondo finora lasciato ai margini, di cui tutti sanno ma di cui nessuno si interessa, e la brutalità dell'esperienza carceraria viene sottolineata da paesaggi suggestivi in stridente contrasto con la condizione dei prigionieri: ne è un esempio la sequenza nel carcere di Segunto, vicino al mare, in cui i detenuti passano la loro ora d'aria camminando in limitatissimi triangoli cementati. Alberto Sordi offre una delle sue interpretazioni più intense nel ruolo del protagonista, aggiudicandosi l'Orso d'argento a Berlino e il David di Donatello. Triste e sorprendente constatare come la realtà raccontata da Loy sia ancora applicabile alle condizioni odierne del diritto penale e dei suoi istituti.